“Mi sembrò molto strano il comportamento degli uomini in questo loro incontro in mare. La minuscola sardina non attacca un’altra sardina, la lenta tartaruga non attacca un’altra tartaruga, il vorace pescecane non attacca un altro pescecane. A quanto pare gli uomini sono l’unica specie che attacca i propri simili, e non mi piacque questa cosa che imparai da loro.”
Solamente Luis Sepúlveda
poteva far parlare una balena bianca e che voce le affida! Una voce che viene da lontano, dal Cile, lo Stato che lo vide nascere e crescere, il Paese che gli
trasmise antiche leggende e tradizioni mai dimenticate.
Grazie al nonno e allo
zio sviluppò l’amore per la lettura che l’ha portato ad essere uno splendido
scrittore ed è da una delle letture più amate, il “Moby Dick” di Melville
(pubblicato nel novembre del 1851) che a sua volta prende spunto da una storia
vera, che nasce la storia di cui vi voglio parlare.
Avete mai sentito parlare
dell’isola cilena Mocha? E di Mocha Dick?
Mocha Dick era un
capodoglio albino ed è il protagonista narrante di “Storia di una balena bianca
raccontata da lei stessa” (Guanda, novembre 2018), l’incredibile storia dell’incredibile
balena che viveva nei mari circostanti l’isola dalla quale prende il nome.
Una
balena unica nel suo genere, molto intelligente e curiosa. La Gente del Mare la
conosceva bene e rispettava e tutto andava bene prima che arrivassero i
balenieri da ogni parte del mondo. La vita degli abitanti del mare cambiò in
quel momento e Mocha Dick, che proteggeva il suo mondo, non capiva cosa
accadesse ma dovette ricredersi sugli uomini e rispondere con la stessa
aggressività e crudeltà con la quale agivano loro, con tutto il dolore che
questo le portò.
Mocha Dick è la voce di
racconti senza tempo, di un presente doloroso, di un futuro incerto. La sua voce è lontana
e saggia, ci parla con amore e dolcezza per voi divenire triste, sconsolata,
arrabbiata.
“Gli uomini: così piccoli
eppure così implacabili come nemici, pensai, ma nell'occhio dell’anziano
capodoglio vidi che sulla costa, oltre l’isola Mocha, c’erano uomini diversi,
chiamati lafkenche o Gente del Mare. Loro prendono dalla riva il necessario per
vivere e ringraziano la generosità del mare celebrando un rito antico.”
All'improvviso la rivoluzione, la rabbia travolge tutto e tutti, impossibile provare un sentimento differente di fronte alla ferocia dell’uomo.
Ma ci sono anche il mare con i suoi spettacolari abitanti, le altre balene e quegli occhi, così piccoli rispetto al resto del corpo, che racchiudono tutte le memorie del mondo.
Un inno alla natura, alle
sue creature, una storia che insegna il rispetto nei confronti di coloro che abitano questa
nostra Terra, compresi noi stessi.
Solo pochi giorni fa si
parlava di una baleniera giapponese in viaggio verso l’Antartide con l’obiettivo
di catturare e uccidere oltre trecento balene. E allora ci chiediamo: perché? Per
una inesistente ricerca scientifica? Per proporre piatti a base di carne di
balena o strani intrugli frutto della superstizione? Perché dare vita a continue sanguinose stragi senza senso?
Ancora una volta Sepúlveda
ci regala una storia bellissima, con la sua scrittura sempre delicata ma
incisiva, una favola, purtroppo reale, che spero doni una sensibilità nuova ai
più piccoli e nuove consapevolezze ai lettori più grandi.
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