martedì 23 febbraio 2021

“Bill” di Helen Humphreys: storia d’amore e follia tra bullismo e trappole per conigli

Bill, Helen Humphreys

“Non so spiegare la sensazione che provo quando corro con Bill sotto lo sterminato cielo azzurro della prateria. È come se mi guidasse fuori dal buio, fuori da un senso di solitudine che nemmeno sapevo di provare.”

Canada. In una cittadina di campagna Leonard, dodicenne, trascorre le sue giornate con Bill, detto Bill Zampe di Coniglio, un giovane uomo solitario evitato da tutti. Leonard non ha amici a parte Bill; i due non hanno bisogno di tante parole per capirsi e Bill insegna al ragazzino a piazzare le trappole per i conigli selvatici e a strappare loro le zampe che rivende poi come portafortuna. 

Entrambi non desiderano altro che pace e nonostante Bill sia spesso scostante un affetto sincero li unisce. Leonard a scuola è perseguitato dai bulli e a casa trova quotidianamente un padre alcolizzato non certo incline ai gesti d’affetto.

Un giorno però qualcosa accade, Bill compie un atto violento proprio davanti a Leonard e niente sarà più lo stesso. Il fatto sciocca Leonard ma anziché allontanarlo definitivamente da Bill la sua ossessione aumenta tanto da portarlo a studiare psichiatria e intraprenderne la professione. 

Leonard sarà un giovane e brillante psichiatra e il lavoro in uno dei più grandi istituti psichiatrici canadesi gli mostrerà nuove prospettive ma lo condurrà anche verso un passato ancora sconosciuto.

“Bill” (Playground, 2020, traduzione di Chiara Brovelli) è l’ultimo romanzo della canadese Helen Humphreys, la cui storia è tratta da un fatto di cronaca del 1947.

Bastano poche parole per essere rapiti da questo libro (anche la copertina non passa inosservata) che racconta una storia tanto bella quanto inquietante.

Tutto nasce con, e da, quella che definiremo un’ossessione, ma se si trattasse invece di un rifugio, di un luogo sicuro nel quale scoprire un po’ di quella felicità mai conosciuta altrove?

“Bill” è un romanzo di formazione ma non solo; è la denuncia di fatti che vanno contro i diritti 

Helen Humphreys
dell’uomo, contro l’umana sopportazione.

Leonard segue Bill come fosse il capobranco, lo annusa, lo osserva, lo ammira e rispetta. Ed entrambi trovano l’uno nell’altro qualcosa di inedito, un rapporto esclusivo, forse animalesco, forse morboso in maniera non sana.

“Rimaniamo così, sdraiati sotto il tremolio delle stelle. Buttiamo fuori l’aria insieme e poi inspiriamo, finché il nostro respiro non trasforma i nostri corpi in due motori, nel buio.”

Sono le parole e gli occhi di Leonard a raccontare i fatti e sempre lui ci porta verso una verità dura, dolorosa e tristemente reale.

“Bill” si fa divorare, le duecento pagine scorrono velocemente grazie ad una scrittura scorrevole e leggera, malgrado la storia non semplice.

Amore, ossessione, inconscio, a tratti improbabile, poetico dall’inizio alla fine, in una parola bellissimo. 

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lunedì 1 febbraio 2021

“L'anima de li pensieri mia”: intervista a Marco Giuli e la sua prima raccolta poetica in vernacolo

L'anima de li pensieri mia, Marco Giuli

“So dieci giorni che non te vedo/ e me ne sto da solo mentre appanno il vetro/ di questa macchina disegnando due cuori/ attraverso i quali riesco a vedè fuori. // E fuori c'è Roma, con tutta la sua bellezza/ anche quando piove, te vede e t'accarezza/ anche quando non ci sei, ma tanto sto tranquillo/ perché tanto stai a tornà,/ e manco a farlo apposta/ al telefono uno squillo.”

Ricordate Marco Giuli, scrittore romano autore di titoli come “Per prendersi una vittoria” o “Il giornale di domani"?

O forse ricorderete la mia intervista nella quale Marco ci raccontò la sua passione per la scrittura, per Stephen King (sua la seguitissima fan page Stephen King Italia), l’esperienza con le case editrici, la scelta di autopubblicarsi e il rapporto con i social media.

Lo conoscerete ora come autore di versi, poesie in dialetto romanesco composte perlopiù durante il periodo del lockdown e in ogni caso nel corso dell’anno 2020 appena trascorso.

Un anno per nulla semplice che ha portato tutti noi a dedicarci ad attività ed interessi nuovi rispetto al passato.

“L'anima de li pensieri mia” è disponibile su Amazon per l’acquisto (sia su supporto cartaceo che digitale) e comprende 50 componimenti poetici molto attuali.

I temi trattati sono diversi: si va dall’amore all’amata Roma, dalla forzata reclusione all’amicizia senza dimenticare personaggi divenuti (purtroppo) protagonisti della cronaca come Stefano Cucchi o Emanuela Orlandi. Non mancano i momenti di spensieratezza, i ricordi del passato, i pensieri per il futuro e gli affetti più cari.

Il linguaggio è semplice, popolare, dialettale, ma ogni parola è importante e portavoce di sentimenti profondi e talvolta di un disagio che ancora stiamo vivendo a causa del periodo storico particolare che stiamo affrontando.

Ma lascio ora parlare lo stesso Marco Giuli che ringrazio ancora una volta per la disponibilità.

 

Bentornato Marco. Prima di tutto come stai vivendo questo
periodo ancora così difficile in una Roma mai vista così deserta?

Ciao Rebecca, è sempre un piacere parlare con te. Io sto abbastanza bene dai. Abbiamo avuto tutti dei momenti difficili, chi più chi meno. Nel corso del 2020 abbiamo imparato che cosa vuol dire affrontare una pandemia. Ragazzi, è qualcosa che, al di là di tutti i discorsi complottisti, racconteremo ai nostri ragazzi un domani. Sempre se per quel domani ne saremo usciti del tutto (ride ndr…).

Abbiamo visto le nostre città deserte, o quasi. E se da una parte questo ci rattrista un po’ dall’altra ci permette di ammirare angoli di città che prima, preso dalla frenesia del vivere e dal caos della gente, non ti accorgevi esistessero. Ne parlo nel mio ultimo libro “L’anima de li pensieri mia” con una poesia intitolata “Roma mia”.

Marco Giuli

 

Questa volta ci siamo ritrovati per parlare della tua nuova pubblicazione. Come nascono queste poesie e per quale motivo hai deciso di condividerle con un pubblico più ampio?

L’idea di fare una raccolta, devo essere sincero, è venuta soltanto dopo qualche poesia. Scrissi la prima, mi ricordo bene, quando ancora non eravamo in quarantena totale. L’idea venne, come spesso accade, un po’ per gioco e un po’ per noia. Feci girare la poesia e vidi che le reazioni di chi la leggeva erano entusiaste. Così, complice la quarantena forzata, e quel sano senso di inquietudine che serve, ad un poeta, per scrivere le sue opere, cominciai a buttare giù rime ogni sera, dopo cena. L’idea era quella di tenerle per me, chiuderle in un cassetto perché rappresentavano un momento particolare e non proprio da ricordare con il sorriso. Man mano che scrivevo, però, sentivo anche il bisogno di far conoscere le mie parole, i miei pensieri, agli altri. Qualcuno diceva: “La vita non ha senso, se non la racconti a nessuno”. E sono completamente d’accordo con questa filosofia.

 

Scrivevi poesie anche in passato o si tratta della prima volta?

Avrò scritto qualche poesia alle elementari, forse. Roba che se le rileggessi adesso mi nasconderei sotto il letto dalla vergogna. Però ricordo che l’emozione nello scriverle, ecco, quello non l’ho più ritrovato. Preferisco scrivere brevi novelle, o racconti lunghi. Ma sotto lockdown non avevo la giusta lucidità mentale per scrivere qualcosa che avrebbe comportato un filo narrativo da seguire in più giorni. Così ho trovato, nelle poesie, una strategia vincente. Anche se non andavo a dormire finché non l’avessi finita.

 

Hai una e più poesie alla o alle quali sei maggiormente legato? E se sì, per quale motivo?

La prima che ho scritto è la mia preferita: Due cuori appannati su Roma. Da questa poesia ho capito che potevo scriverne altre. È stato l’inizio di tutto. Mi ricordo che sotto lockdown la recitai in un videocontest su Instagram e piacque molto anche agli altri partecipanti. Al punto che, Luigi Martini, un bravissimo attore e un mio caro amico, decise di recitarla e registrarla su Youtube.

 

In quanto lettore hai dei poeti di riferimento?

Uno su tutti, il Maestro. Alcuni testi di Franco Califano, recitati poi con la sua inconfondibile voce, sono qualcosa di unico. “Avventura con il travestito”, “Un tempo piccolo”, “Minuetto” o “Nun me portà a casa”, per citarne alcuni, anche tra i meno blasonati ma non altrettanto belli…

All’interno della raccolta sarà facile, infatti, intravedere l’influenza che ha avuto il Maestro in alcune mie poesie. Specie quelle in cui il protagonista è Erichetto (personaggio di mia fantasia).

 

 Cosa rappresenta per te, in un discorso di ampio respiro, la poesia?

Per me la poesia è esperienza. Mi spiego meglio: ognuno di noi vive una vita fatta di sentimenti, azioni, pensieri, conseguenze… Esperienze appunto. La poesia non è altro, quindi, che la trasformazione di queste esperienze in qualcosa di universale. Dove tutti ci si possono rispecchiare. Accade spesso anche per le canzoni, e infatti i cantautori più bravi spesso vengono chiamati anche poeti.

Poesia è anche rimanere bambini. Perché solo con gli occhi di un bambino si possono cogliere quegli aspetti, quei dettagli, minuscoli agli occhi di un adulto, che rendono indimenticabile un verso, una strofa. D’altronde anche Pascoli sosteneva, mitizzando il fanciullino, che soltanto guardando il mondo come fa un bambino è possibile trasformare il fantastico, l’immaginifico in reale.

 

Quali sentimenti e immagini speri di suscitare nei lettori con i tuoi versi?

Come ripete spesso anche King nei suoi libri, spero di suscitare un’emozione. Non importa quale sia l’importante è che ci sia. Può essere gioia, nostalgia, tristezza, rabbia… Ma un’emozione deve esserci. La cosa che più mi spaventa è non riuscire ad emozionare. Per uno scrittore è l’anticamera del fallimento. D’altronde non posso piacere a tutti e non posso nemmeno pretendere che piacciano tutte le mie poesie dalla prima all’ultima. È come quando prendi un disco di un cantante che non conosci, se su dieci tracce almeno una o due ti piacciono allora è un buon disco.

 

Perché poesie in dialetto e non in italiano?

No in realtà ci sono anche alcune poesie in italiano, dipende poi molto dal contesto e dall’argomento che volevo trattare. Poesie come quella dedicata a Emanuela Orlandi o quella su Stefano Cucchi, ad esempio, sentivo la necessità di scriverla usando un linguaggio più attaccato alle mie origini, proprio perché raccontavano uno spaccato di vita romana. Più in generale il mio intento è quello di raccontare le mie esperienze, emozioni, quello che avevo dentro in un modo, diciamo così, confidenziale e popolare. Come quando si è tra amici. Ecco, le mie poesie, sono un modo per dirvi: “Ehi, sono vostro amico. Adesso vi racconto una cosa. State a sentire…”

 

Hai in progetto qualche presentazione della tua raccolta?

La settimana prossima sarò ospite della trasmissione radiofonica “Stregati dalla Rete” su RadioRock. Sarà una bella occasione per promuovere il mio libro e perché no, recitare qualche poesia in diretta.

 

Nel mese di ottobre la casa editrice Porto Seguro ha pubblicato il tuo “You’ll never walk alone”. Ce ne parli brevemente?

“You’llnever walk alone” è il mio primo romanzo breve. L’idea è nata subito dopo i fatti di cronaca che hanno caratterizzato il prepartita di Liverpool Roma in Champions League circa un paio di anni fa, forse qualcosa di più. Ho sentito il bisogno di raccontare quegli eventi, ma non in modo giornalistico o critico. Bensì con una storia di amicizia. Due ragazzi di Roma, che partono per vedere quella partita e rimangono coinvolti nei disordini fuori lo stadio. Uno dei due ragazzi è su una sedia a rotelle e prima di arrivare a Liverpool affronteranno entrambi un viaggio on the road pieno di emozioni e difficoltà. 

Marco Giuli


Nella precedente intervista avevi espresso il tuo frequente utilizzo dei social. È stato così anche nel 2020? E hanno forse avuto per te un ruolo ancora più importante rispetto al passato?

I social hanno avuto un ruolo ancor più fondamentale nel corso di questo 2020. Per certi momenti erano l’unico mezzo di comunicazione con l’esterno, con gli altri. Mi sono fermato spesso a pensare a come sarebbe stata, questa pandemia, se ci avesse costretti a stare a casa negli anni ‘90. Quando non c’erano chiamate illimitate, wifi in casa, né Skype, né Whatsapp, né Facebook. Come avremmo trovato il modo di sentirci con gli amici, i familiari? Sarebbe stato tutto maledettamente più complicato. Dall’altra parte, però, ogni tanto sento anche il bisogno di staccare. Altrimenti si rischia di perdere il contatto con la realtà. Di quando in quando, anche se non troppo spesso, sento il bisogno di spegnere il telefono e camminare per la città. Guardare la gente in giro, ascoltare i discorsi di due anziani al bar, guardare loro le mani… ecco, queste cose nessun social network potrà dartele.

 

Ti abbiamo conosciuto prima come scrittore di racconti più o meno lunghi: al riguardo hai qualche nuovo progetto di cui farci partecipi in anteprima?

Per ora voglio godermi il momento. Quest’anno cercherò di far conoscere “L’anima de li pensieri mia” e “You’ll never walk alone” a più persone possibile. Per i prossimi anni ho già qualcosa in una cartella sul mio pc. Non posso svelare ancora nulla, sono ancora in fase di studio e di raccolta materiale. Quello che posso dire è che vorrei cercare di alzare ancora di più l’asticella. Mi piacerebbe scrivere la biografia di qualche personaggio storico…

Grazie Marco, in bocca al lupo per la tua raccolta di poesie e per tutti i tuoi progetti!

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