L'anima de li pensieri mia, Marco Giuli
“So dieci giorni che non te vedo/ e me ne sto da solo mentre appanno il vetro/ di questa macchina disegnando due cuori/ attraverso i quali riesco a vedè fuori. // E fuori c'è Roma, con tutta la sua bellezza/ anche quando piove, te vede e t'accarezza/ anche quando non ci sei, ma tanto sto tranquillo/ perché tanto stai a tornà,/ e manco a farlo apposta/ al telefono uno squillo.”
Ricordate Marco Giuli, scrittore
romano autore di titoli come “Per prendersi una vittoria” o “Il giornale di
domani"?
O forse ricorderete la mia intervista nella quale Marco ci raccontò la sua passione per la scrittura, per Stephen King (sua la seguitissima fan page Stephen King Italia), l’esperienza con le case editrici, la scelta di autopubblicarsi e il rapporto con i social media.
Lo conoscerete ora come autore di versi, poesie in dialetto romanesco composte perlopiù durante il periodo del lockdown e in ogni caso nel corso dell’anno 2020 appena trascorso.
Un anno per nulla
semplice che ha portato tutti noi a dedicarci ad attività ed interessi nuovi
rispetto al passato.
“L'anima de li pensieri
mia” è disponibile su Amazon per l’acquisto (sia su supporto cartaceo che
digitale) e comprende 50 componimenti poetici molto attuali.
I temi trattati sono
diversi: si va dall’amore all’amata Roma, dalla forzata reclusione all’amicizia
senza dimenticare personaggi divenuti (purtroppo) protagonisti della cronaca
come Stefano Cucchi o Emanuela Orlandi. Non mancano i momenti di
spensieratezza, i ricordi del passato, i pensieri per il futuro e gli affetti
più cari.
Il linguaggio è semplice,
popolare, dialettale, ma ogni parola è importante e portavoce di sentimenti
profondi e talvolta di un disagio che ancora stiamo vivendo a causa del periodo
storico particolare che stiamo affrontando.
Ma lascio ora parlare lo
stesso Marco Giuli che ringrazio ancora una volta per la disponibilità.
Ciao
Rebecca, è sempre un piacere parlare con te. Io sto abbastanza bene dai.
Abbiamo avuto tutti dei momenti difficili, chi più chi meno. Nel corso del 2020
abbiamo imparato che cosa vuol dire affrontare una pandemia. Ragazzi, è
qualcosa che, al di là di tutti i discorsi complottisti, racconteremo ai nostri
ragazzi un domani. Sempre se per quel domani ne saremo usciti del tutto (ride
ndr…).
Abbiamo
visto le nostre città deserte, o quasi. E se da una parte questo ci rattrista
un po’ dall’altra ci permette di ammirare angoli di città che prima, preso
dalla frenesia del vivere e dal caos della gente, non ti accorgevi esistessero.
Ne parlo nel mio ultimo libro “L’anima de li pensieri mia” con una poesia
intitolata “Roma mia”.
Marco Giuli |
Questa volta ci siamo ritrovati per parlare della tua nuova pubblicazione. Come nascono queste poesie e per quale motivo hai deciso di condividerle con un pubblico più ampio?
L’idea
di fare una raccolta, devo essere sincero, è venuta soltanto dopo qualche
poesia. Scrissi la prima, mi ricordo bene, quando ancora non eravamo in
quarantena totale. L’idea venne, come spesso accade, un po’ per gioco e un po’
per noia. Feci girare la poesia e vidi che le reazioni di chi la leggeva erano
entusiaste. Così, complice la quarantena forzata, e quel sano senso di
inquietudine che serve, ad un poeta, per scrivere le sue opere, cominciai a
buttare giù rime ogni sera, dopo cena. L’idea era quella di tenerle per me,
chiuderle in un cassetto perché rappresentavano un momento particolare e non
proprio da ricordare con il sorriso. Man mano che scrivevo, però, sentivo anche
il bisogno di far conoscere le mie parole, i miei pensieri, agli altri.
Qualcuno diceva: “La vita non ha senso, se non la racconti a nessuno”. E sono
completamente d’accordo con questa filosofia.
Scrivevi poesie anche in passato o si tratta della prima volta?
Avrò
scritto qualche poesia alle elementari, forse. Roba che se le rileggessi adesso
mi nasconderei sotto il letto dalla vergogna. Però ricordo che l’emozione nello
scriverle, ecco, quello non l’ho più ritrovato. Preferisco scrivere brevi
novelle, o racconti lunghi. Ma sotto lockdown non avevo la giusta lucidità
mentale per scrivere qualcosa che avrebbe comportato un filo narrativo da
seguire in più giorni. Così ho trovato, nelle poesie, una strategia vincente.
Anche se non andavo a dormire finché non l’avessi finita.
Hai una e più poesie alla o alle quali sei maggiormente legato? E se sì, per quale motivo?
La
prima che ho scritto è la mia preferita: Due cuori appannati su Roma. Da questa
poesia ho capito che potevo scriverne altre. È stato l’inizio di tutto. Mi
ricordo che sotto lockdown la recitai in un videocontest su Instagram e piacque
molto anche agli altri partecipanti. Al punto che, Luigi Martini, un bravissimo
attore e un mio caro amico, decise di recitarla e registrarla su Youtube.
In quanto lettore hai dei poeti di riferimento?
Uno
su tutti, il Maestro. Alcuni testi di Franco Califano, recitati poi con la sua
inconfondibile voce, sono qualcosa di unico. “Avventura con il travestito”, “Un
tempo piccolo”, “Minuetto” o “Nun me portà a casa”, per citarne alcuni, anche
tra i meno blasonati ma non altrettanto belli…
All’interno
della raccolta sarà facile, infatti, intravedere l’influenza che ha avuto il
Maestro in alcune mie poesie. Specie quelle in cui il protagonista è Erichetto
(personaggio di mia fantasia).
Cosa rappresenta per te, in un discorso di ampio respiro, la poesia?
Per
me la poesia è esperienza. Mi spiego meglio: ognuno di noi vive una vita fatta
di sentimenti, azioni, pensieri, conseguenze… Esperienze appunto. La poesia non
è altro, quindi, che la trasformazione di queste esperienze in qualcosa di
universale. Dove tutti ci si possono rispecchiare. Accade spesso anche per le
canzoni, e infatti i cantautori più bravi spesso vengono chiamati anche poeti.
Poesia
è anche rimanere bambini. Perché solo con gli occhi di un bambino si possono
cogliere quegli aspetti, quei dettagli, minuscoli agli occhi di un adulto, che
rendono indimenticabile un verso, una strofa. D’altronde anche Pascoli
sosteneva, mitizzando il fanciullino, che soltanto guardando il mondo come fa
un bambino è possibile trasformare il fantastico, l’immaginifico in reale.
Quali
sentimenti e immagini speri di suscitare nei lettori con i tuoi versi?
Come
ripete spesso anche King nei suoi libri, spero di suscitare un’emozione. Non
importa quale sia l’importante è che ci sia. Può essere gioia, nostalgia,
tristezza, rabbia… Ma un’emozione deve esserci. La cosa che più mi spaventa è
non riuscire ad emozionare. Per uno scrittore è l’anticamera del fallimento.
D’altronde non posso piacere a tutti e non posso nemmeno pretendere che
piacciano tutte le mie poesie dalla prima all’ultima. È come quando prendi un
disco di un cantante che non conosci, se su dieci tracce almeno una o due ti
piacciono allora è un buon disco.
Perché
poesie in dialetto e non in italiano?
No
in realtà ci sono anche alcune poesie in italiano, dipende poi molto dal
contesto e dall’argomento che volevo trattare. Poesie come quella dedicata a
Emanuela Orlandi o quella su Stefano Cucchi, ad esempio, sentivo la necessità
di scriverla usando un linguaggio più attaccato alle mie origini, proprio
perché raccontavano uno spaccato di vita romana. Più in generale il mio intento
è quello di raccontare le mie esperienze, emozioni, quello che avevo dentro in
un modo, diciamo così, confidenziale e popolare. Come quando si è tra amici.
Ecco, le mie poesie, sono un modo per dirvi: “Ehi, sono vostro amico. Adesso vi
racconto una cosa. State a sentire…”
Hai
in progetto qualche presentazione della tua raccolta?
La settimana prossima sarò ospite della trasmissione radiofonica “Stregati dalla Rete” su RadioRock. Sarà una bella occasione per promuovere il mio libro e perché no, recitare qualche poesia in diretta.
Nel
mese di ottobre la casa editrice Porto Seguro ha pubblicato il tuo “You’ll
never walk alone”. Ce ne parli brevemente?
“You’llnever walk alone” è il mio primo romanzo breve. L’idea è nata subito dopo i
fatti di cronaca che hanno caratterizzato il prepartita di Liverpool Roma in
Champions League circa un paio di anni fa, forse qualcosa di più. Ho sentito il
bisogno di raccontare quegli eventi, ma non in modo giornalistico o critico.
Bensì con una storia di amicizia. Due ragazzi di Roma, che partono per vedere
quella partita e rimangono coinvolti nei disordini fuori lo stadio. Uno dei due
ragazzi è su una sedia a rotelle e prima di arrivare a Liverpool affronteranno
entrambi un viaggio on the road pieno di emozioni e difficoltà. Marco Giuli
Nella precedente intervista avevi espresso il tuo frequente utilizzo dei social. È stato così anche nel 2020? E hanno forse avuto per te un ruolo ancora più importante rispetto al passato?
I social hanno avuto un ruolo ancor più fondamentale nel corso di questo 2020. Per certi momenti erano l’unico mezzo di comunicazione con l’esterno, con gli altri. Mi sono fermato spesso a pensare a come sarebbe stata, questa pandemia, se ci avesse costretti a stare a casa negli anni ‘90. Quando non c’erano chiamate illimitate, wifi in casa, né Skype, né Whatsapp, né Facebook. Come avremmo trovato il modo di sentirci con gli amici, i familiari? Sarebbe stato tutto maledettamente più complicato. Dall’altra parte, però, ogni tanto sento anche il bisogno di staccare. Altrimenti si rischia di perdere il contatto con la realtà. Di quando in quando, anche se non troppo spesso, sento il bisogno di spegnere il telefono e camminare per la città. Guardare la gente in giro, ascoltare i discorsi di due anziani al bar, guardare loro le mani… ecco, queste cose nessun social network potrà dartele.
Ti abbiamo conosciuto prima come scrittore di racconti più o meno lunghi: al riguardo hai qualche nuovo progetto di cui farci partecipi in anteprima?
Per
ora voglio godermi il momento. Quest’anno cercherò di far conoscere “L’anima de
li pensieri mia” e “You’ll never walk alone” a più persone possibile. Per i
prossimi anni ho già qualcosa in una cartella sul mio pc. Non posso svelare
ancora nulla, sono ancora in fase di studio e di raccolta materiale. Quello che
posso dire è che vorrei cercare di alzare ancora di più l’asticella. Mi
piacerebbe scrivere la biografia di qualche personaggio storico…
Grazie Marco, in bocca al lupo per la tua raccolta di poesie e per tutti i tuoi progetti!
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