giovedì 23 maggio 2019

“Blankets” di Craig Thompson: un romanzo di formazione a fumetti tra silenzi e spazi vuoti che si tingono di bianco


“Steve, il padre di Raina, sembrava entusiasta che fossi lì, ma io sapevo che il NOSTRO entusiasmo era più vero. Mentre lui parlava, noi OSSERVAVAMO come il peso e il sapore dell’aria fossero diversi adesso che eravamo insieme.”
Blanket significa coperta, mantello, coltre, ma blank significa vuoto, assente, spazio. Avrete magari sentito l’espressione blank space come sinonimo di white space.

Tali definizioni riportano tutte alla storia raccontata in “Blankets” (Rizzoli Lizard, ottobre 2010, traduzione di Claudia Manzolelli, prefazione di Luca Sofri), l’opera che ha portato al successo (e che gli è valso quattro Harvey Awards, due Eisner Awards e due Ignatz Awards il fumettista statunitense, classe 1975, Craig Thompson.

“Blankets” è un graphic novel autobiografico che racconta l’infanzia e poi l’adolescenza in Wisconsin, stato nel Midwest degli Stati Uniti, in un paesino di agricoltori e di persone dedite, fin troppo, alla Chiesa.

Sembra una storia di altri tempi ma non è poi così lontana dai nostri e Craig racconta il disagio vissuto soprattutto in età adolescenziale, il primo innamoramento, il timore di prendere scelte sbagliate e incorrere nel castigo divino.

“Forse non dovrei ringraziare, pensai, forse dovrei pentirmi, chiedere perdono… forse dovrei sentirmi in colpa…”

Alle normali incertezze e alle ribellioni che tutti viviamo in certi periodi della nostra esistenza si aggiunge l’educazione religiosa che scombina ogni pensiero ed ogni esperienza. 

Persino
Craig Thompson
l’incontro con Raina viene influenzato da questo, nonostante l’evoluzione in una bellissima, dolce e acerba storia d’amore.

 “Blankets” con le sue quasi 600 pagine conquista il lettore, perché la storia che racconta è bellissima e spietata al tempo stesso, i disegni sono proprio come dovrebbero essere. Il bianco e nero avvolge tutto, nessun colore avrebbe potuto rendere meglio fatti ed emozioni.

“Di notte, quando stai sdraiato a pancia in su e guardi la neve che scende, è facile immaginare di librarti in volo tra le stelle.”

“Blankets” è silenzio, è amore, è spazi vuoti che si tingono di bianco, è neve silenziosa che copre tutto come una coperta, è l’incertezza di ciò che sarà, è le voci di chi ci sta accanto senza comprenderci.

Thompson ha creato una piccola opera d’arte che lascia a cuore aperto, che non può essere dimenticata, da leggere e rileggere nelle notti più fredde; un bellissimo romanzo di formazione a fumetti unico nel suo genere.

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venerdì 17 maggio 2019

“La ragazza che voleva salvare i libri” di Klaus Hagerup con le illustrazioni di Lisa Aisato: l’importanza del tempo e dei libri


"Anna adorava i libri. Leggeva tutto il giorno. Leggeva la mattina prima di alzarsi. Leggeva la sera prima di andare a letto. Leggeva la sera dopo essere andata a letto. Quando la mamma o il papà entravano nella sua camera, faceva finta di dormire. Ma non dormiva. Leggeva sotto il piumino. Attraverso i libri si faceva centinaia di nuovi amici. E qualche nemico. Ma, si sa, così è la vita.”
Di libri belli ce ne sono tanti ma i libri che parlano di libri lo sono ancora di più e se sono illustrati raggiungono livelli anche più alti.

Al riguardo avete mai letto “La ragazza che voleva salvare i libri” (Rizzoli, gennaio 2019, traduzione di Alice Tonzig)? È stato scritto da Klaus Hagerup, il più famoso autore per ragazzi norvegese (che parlava e scriveva perfettamente in italiano), scomparso di recente, nel dicembre del 2018, ad appena 72 anni.

Le sue storie sono piene di magia, di bambini, di avventure fantastiche e in particolare “La ragazza che voleva salvare i libri” è colma di libri, libri a cataste!

Qui si racconta la storia di Anna, una bambina di quasi 10 anni che ha paura di invecchiare. Per combattere questa paura legge, sempre e di tutto. Lei ama i libri, immergersi in nuove avventure, conoscere nuovi personaggi e farsi così nuovi amici

Quando un giorno va in biblioteca scopre dalla bibliotecaria, sua amica, che esistono dei libri che nessuno prende mai in prestito e che per questo motivo vengono bruciati. La notizia stravolge Anna che reagisce chiedendo una parte cospicua di quei testi e se li porta a casa con l’aiuto di una carriola. Tra questi trova un libro molto particolare che attira la sua attenzione e quella dei suoi compagni di scuola con i quali ne parla. Chi lo ha scritto? E perché quelle pagine bianche alla fine? Il finale sarà una vera e propria sorpresa.

Klaus Hagerup
“Anna rifletté. Se i libri che nessuno leggeva venivano distrutti, morivano anche le persone dentro di loro. Come una foglia d’autunno. Appassisce. Poi si sgretola e diventa polvere. Infine scompare nel vento. Per sempre. Era un pensiero terribile. Per poco Anna non si mise a piangere, ma poi si arrabbiò.”

“La ragazza che voleva salvare i libri” mostra l’importanza dei libri, del tempo trascorso con e tra essi. Ma è anche una storia di amicizia e di accettazione che fa comprendere che, così come tante persone si trovano intrappolate in un libro che non verrà mai letto, altre si trovano nella nostra quotidianità senza che noi ce ne accorgiamo.

Adatto ai bambini dai 6-7 anni in su è bellissimo ad ogni età, inoltre le illustrazioni di Lisa Aisato (illustratrice e artista norvegese) sono stupende, così realistiche, ricche di fantasia, di sensibilità, luce e colori incredibili.

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martedì 14 maggio 2019

“Auschwitz” di Pascal Croci: un’opera a fumetti per sensibilizzare i giovani e non dimenticare


“Auschwitz ha distrutto le nostre vite. Che senso ha adesso?”
Jugoslavia. Kazik e sua moglie Cessia ricordano insieme il periodo trascorso ad Auschwitz e si rendono conto di aver vissuto vicende simili ma differenti e che alcuni dettagli non erano mai stati raccontati nella loro integrità. Il lettore viene così trasportato nel campo di sterminio tra i prigionieri, i kapot, i boia nazisti e le attività che lì venivano svolte. 

La storia è quella che conosciamo ma vederla raccontata a fumetti è qualcosa di originale e che colpisce nel profondo. I disegni non sono meno incisivi delle parole o dei documentari che possiamo aver visto, anzi. Pascal Croci non propone nuovi tesi storiche né modifica i fatti ma crea quest’opera con l’intento di sensibilizzare le nuove generazioni donando un ulteriore mezzo di conoscenza, per imparare e non dimenticare.

“Auschwitz” (Mondadori Comics, collana Historica, gennaio 2019, traduzione di Giuseppe Girolamo) è una pubblicazione originale, mai prima d’ora avevamo visto i campi di sterminio e i loro abitanti sotto forma di fumetto.

Pascal Croci, fumettista francese classe 1961, non si fa spaventare dalle titubanze dei testimoni, quelli con i quali ha parlato per la creazione del suo libro, di fronte a questo mezzo, e ne ricava una soddisfazione inaspettata da parte loro.
Pascal Croci
Il volume, di poco meno di 100 pagine, è il risultato di un lavoro di ben cinque anni e ha ricevuto il Prix Jeunesse dell’Assemblea Nazionale Francese ed è stato tradotto in numerosi Paesi.

Le tavole sono davvero belle, vanno oltre ogni estetismo e voyeurismo, e pur non mostrando nudità, se non quella dei corpi allo stato cadaverico, ormai in decomposizione, risultano forti, dirette e conturbanti.

La storia è romanzata ma alcuni fatti sono reali ed importantissimo al riguardo sono state le testimonianze dei sopravvissuti. Ci si accorge di come chi viveva dentro i campi, quello di Auschwitz-Birkenau è solo uno tra i tanti, sviluppava un istinto di sopravvivenza davvero forte. 

Non esisteva una routine, questo estraniava ancora di più i prigionieri, ma le torture psicologiche erano all'ordine del giorno e se non si voleva crollare era necessario adottare determinati comportamenti e creare rapporti stretti, psicologicamente salvifici, con i compagni di campo.

Un libro per adulti e adolescenti, con pagine finali nelle quali l’autore racconta la genesi dell’opera e i fatti accaduti realmente dai quali ha preso spunto.

Una lettura differente, importante, per ricordare, per non dimenticare, per educare.

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giovedì 9 maggio 2019

“La memoria che resta”, Absence 3, l'intenso volume conclusivo della trilogia di Chiara Panzuti


“Ero pronta. Pronta per l’ultima prova, che altro non era se non una goffa imitazione della vita: andare avanti, nella consapevolezza di essere soli con noi stessi; visibili, senza bisogno di conferme da parte dell’esterno, reali e veri in ogni nostra imperfezione. Ero pronta per avanzare nel nulla, preoccupandomi solo dei miei passi, ed ero pronta anche a dimenticare, a essere dimenticata.”
Devo confessare di non essere una da trilogie, non che abbia qualcosa in contrario al riguardo ma devo proprio trovarmi davanti a qualcosa di valido per decidere di avventurarmi in una storia che so non avrà termine nell'immediato.

Quando lessi, due anni fa circa, la trama di “Absence: il gioco dei quattro” mi incuriosii davvero tanto e cominciò così il mio viaggio in compagnia di Faith, Jared, Christabel, Scott e tutti gli altri.

Il tempo purtroppo scorre così rapidamente e siamo giunti ad Absence 3, “La memoria che resta” (Fazi Editore, collana LainYA, 9 maggio 2019), l’epilogo di tutto ciò che abbiamo visto accadere nei primi due libri.

I ragazzi hanno intrapreso un incredibile cammino in giro per il mondo verso un qualcosa che non sanno cosa sia realmente. La loro invisibilità permane ma Faith, dopo ciò che ha vissuto con gli Alfa, è cambiata, è cresciuta e ha cominciato ad intravedere una parte di sé che le era fino a quel momento ignota. Ora comprendere cosa fare è per lei ancora più complicato e i Gamma, la sua famiglia, la guardano con occhi diversi, sospettosi, sembrano non fidarsi più di lei. 

A complicare le cose l’effetto dell’NH1 sempre più intenso e distruttivo e Jared sembra sopraffatto dalla rabbia, a discapito dell’affetto che provava nei confronti di Faith. 

Dall'altra parte gli Alfa proseguono dritti verso la loro strada, e quando Faith decide di tornare da loro solo Ephraim
Chiara Panzuti
dimostra entusiasmo. 

L’attrazione tra i due è indiscutibile e sempre più forte ma tutto sta per cambiare ancora e forse la fine della storia è vicina. Chissà se ci sarà tempo per l’amore, se esiste un antidoto al siero che è stato iniettato loro, se potranno mai tornare dalle famiglie di origine e soprattutto se tutti riusciranno ad arrivare al termine della missione, o meglio dell’esperimento.

“Io non volevo, non volevo, ma sembrava non esserci scelta, era come se il ragazzo che conoscevo si irritasse per ogni mio tentativo di avvicinamento. Parlavo e lui si infuriava, stavo zitta e lui si incupiva, respiravo e lui si peggiorava, cadeva sempre più in basso, quasi la mia presenza accelerasse il vortice degli effetti collaterali. Se prima ero il suo Nord, ora ero solo un elemento di disturbo, qualcosa che intensificava l’NH1, come se la frattura creata da Bintan fosse stata la spinta verso un baratro senza fondo.”

Se avete amato i primi due adorerete il terzo. L’atmosfera è più cupa, i protagonisti sono cresciuti, la storia e la scrittura stessa di Chiara Panzuti, giovane e talentuosa scrittrice milanese, si sono evoluti. Le domande alle quali speravamo di trovare una risposta sono davvero tante e nessuno rimane deluso.

I colpi di scena si susseguono uno dopo l’altro, la calma non si sa più cosa sia, scopriremo molto di più sull’uomo in nero, sull’illusionista e su questo esperimento che costerà la vita a tanti.

“Così come era accaduto col siero, tornare indietro non era la soluzione, perché nella vita non esiste indietro. Si può solo andare avanti e diventare chi siamo.”

Tra i tre questo è senza dubbio il capitolo più maturo, quello che fa riflettere a fondo su cosa significhi essere invisibili, soprattutto in senso metaforico. È proprio questo tema a rendere così bella e particolare, e perciò rivolta ad un ampio pubblico di lettori, questa trilogia.

Ci sono sì combattimenti e sparatorie e sappiamo che non esiste nella realtà un siero per l’invisibilità ma tutti abbiamo provato la sensazione di essere invisibili agli occhi degli altri o del mondo intero.

“Ricordi l’altro volto del cielo? Adesso ti ci devi aggrappare.”

Come sarebbero le nostre vite se questa condizione permanesse, se gli altri continuassero a non considerarci? 

“Absence” è questo, il racconto di giovani ragazzi che vivono la solitudine del passaggio tra l’infanzia e l’età adulta. Crescere non è mai semplice, si può essere circondati da migliaia di persone e nonostante tutto sentirsi soli al mondo.

La copertina poi è bellissima, con quel cuore nero rovesciato dentro un quadrato di ghiaccio: è il cuore di Faith e dei suoi amici ma è anche il cuore dei lettori che si ghiaccia pagina dopo pagina per poi sciogliersi al termine della storia, rimanendo però comunque ed irrimediabilmente capovolto.

“Si fece strada sotto il mio cappuccio e mi baciò, premendo con forza le sue labbra sulle mie. Non riuscii nemmeno a ragionare sul da farsi. Il secondo prima lo avevo davanti, il secondo dopo lo avevo addosso, e l’unica reazione del corpo fu di avvolgere le braccia attorno al suo collo. Andai in tilt. Letteralmente.”

Non mancano alcune scene d’amore molto belle ed intense, anche queste inedite nei primi due libri della trilogia.

E poi “La memoria che resta” è piena di frasi belle, di quelle da annottare, da ricordare nel tempo, sulle quali riflettere e sognare.

Mi fermo qui, non voglio dire altro (anche se vorrei) ma rischio di essere accusata di spoileraggio!! Quindi… buona lettura!

“Con la mano nella sua, capii che si può amare, perdere e perdonare in tanti modi, e che l’essersi incontrati, a volte, è più importante del rimanere insieme.”


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lunedì 6 maggio 2019

“Patto col diavolo” di Nicola Rocca: il terrore di morire giovani e l’insolenza dell’uomo

Patto col diavolo

“Paolo aveva sempre avuto paura di morire giovane. Del resto, chi di noi non vorrebbe un’esistenza longeva? Qualcuno la desidererebbe anche piena di forti emozioni. Possiamo scegliere il modello di macchina da acquistare, la donna o l’uomo da sposare; possiamo decidere quando, dove e per quale motivo fare qualcosa. Ma non possiamo decidere di morire più tardi di quanto la sorte abbia deciso per noi…”
Paolo Nobili, quarantenne, ha sempre pensato che sarebbe morto giovane e non è mai riuscito a togliersi questa idea dalla testa. 

Fino a quando un giorno gli capita una cosa ai limiti del surreale: il diavolo gli si presenta inaspettatamente e lo invita ad esprimere un desiderio. Paolo gli chiede, quasi senza pesarci, di vivere fino a cent’anni, qualunque cosa accada.

Un patto è un patto e il diavolo lo accontenta. Paolo non è però del tutto convinto che tutto questo sia reale e prova così di sfidare la sorte rischiando la vita in vari modi. Che esito avranno questi suoi esperimenti? Il diavolo manterrà la promessa? E siamo certi che il finale sia quello che il protagonista aveva sperato?

“Patto col diavolo” (ENNEERRE, gennaio 2019) è un breve spin-off de “La casa del
Nicola Rocca
diavolo” (ENNEERRE, ottobre 2018), una sorta di dietro le quinte rispetto a ciò che vediamo capitare nel successivo romanzo.

Un noir avvincente dal finale un pizzico prevedibile, soprattutto per chi ama il genere, ma inaspettato. Paolo è un perfetto rappresentante dell’arroganza, un uomo che non riflette abbastanza e che per questo motivo rischia di finire in un baratro senza fondo.

Gli piace rischiare, come a tanti, ma perché non valutare prima i rischi e le conseguenze? Oppure è preferibile buttarsi come Paolo?

Un racconto interessante, una storia da film horror che non manca di far riflettere il lettore più attento.

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venerdì 3 maggio 2019

“Le ultime lezioni” di Giovanni Montanaro: un allievo, un maestro e le loro esistenze parallele

Le ultime lezioni
“Non giudicava i nostri amori, anche i più sfacciati. Gli spiacevano i tradimenti, la mancanza di fedeltà, ma più per romanticismo che per severità di morale. Era più gentile con le ragazze, per innata cavalleria e perché presagiva per loro una vita più faticosa di quella dei maschi.” 
Di tanto in tanto capita di ritrovarsi a leggere libri che te ne ricordano altri, che ti fanno immergere in atmosfere che avevi amato e nelle quali è bello rivivere. 

A me è capitato con “Le ultime lezioni” (Feltrinelli, marzo 2019) del veneziano, classe 1983, Giovanni Montanaro.

Jacopo è uno studente delle superiori, a Venezia, e Costantini professore di letteratura, quello che tutti, almeno una volta, abbiamo avuto in classe. Jacopo apprezza le sue lezioni ma al tempo stesso lo guarda con sfiducia e curiosità, come volesse saperne di più e al tempo stesso dimenticarlo il prima possibile. Poi all'improvviso la moglie di Costantini muore e lui lascia l’insegnamento. 

Anni dopo Jacopo ripensa a quel professore, al suo modo di insegnare, lo cerca sui social, lo trova, e riallaccia i contatti con lui. Jacopo è ormai all’università, studia Economia, mentre il Professore vive con la figlia disabile sull’isola di Sant’Erasmo

Su quell’isola e tra le parole di quell’uomo il giovane studente trova un rifugio, un diversivo dalla quotidianità, un luogo vicino ma al contempo lontano nel quale scrivere la tesi e ascoltare le parole che desiderava sentire pronunciare. Costantini è il maestro, Jacopo l’allievo e l’uno si nutre dell’altro. Tra di loro Lucia, immobilizzata su di una carrozzina dalla disabilità, dal ragionamento fino e profondo e la femminilità che in qualche modo spaventa Jacopo.

“Le ultime lezioni” è davvero bello e si sviluppa come una sorta di flusso di coscienza dalle diverse sfumature.

Un po’ “Stoner” (Fazi Editore, 2016) di John Williams e un po’ “I miei martedì col professore
Giovanni Montanaro
(Rizzoli, 2000) di Mitch Albom, l’ultimo scritto di Giovanni Montanaro è una di romanzo di formazione atipico, o meglio differente dai più recenti ma in qualche modo dal profumo dei Bildungsroman del periodo Romantico.

“Crescere, mi disse, è perdere opportunità, scegliere una sola esistenza tra le infinite possibili.”

Jacopo si trova in una fase di transizione e Costantini, consumato da un’esistenza scelta solo in parte, mai avrebbe immaginato di ritrovare uno studente e di ricavarne tanto da lui, in termini di vicinanza e sostegno, per sé e per la figlia.

“Ci divertivamo, ci sentivamo potenti; era la gioventù, l’assenza di responsabilità, le infinite energie dei corpi, i soldi che i nostri genitori ci davano.”

Ho davvero amato “Le ultime lezioni”, il suo fluire tra le isole della laguna veneziana, la scrittura riconoscibile, precisa, sincera, scorrevole ma con lo spazio, tra una parola e l’altra, per la riflessione.

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