venerdì 24 marzo 2017

"Magari domani resto" di Lorenzo Marone: dal finalista al Bancarella una storia al femminile nella Napoli più bella ed oscura

Magari domani resto, Lorenzo Marone
“Mia madre avrebbe risposto che abbiamo quello che ci siamo guadagnati, io, invece, penso che non esista un dio che distribuisce pene e meriti, è semplicemente la vita, che prende da alcuni e dà ad altri, come un’onda che si abbatte sulla spiaggia e tira via con sé una formina conficcata nella sabbia per poi restituirla a un nuovo bambino seduto sulla riva dalla parte opposta della costa.”
È da un po’ che avevo notato questo romanzo in libreria, poi l’ho ritrovato tra i finalisti del premio Bancarella 2017. Non mi fido mai troppo dei premi letterari ma negli stessi giorni una cara amica, lettrice fortissima, una che sa leggere con la L maiuscola, me ne ha parlato bene e così ho ceduto e mi ci sono buttata anche io! E vi dico subito che non me ne sono pentita per niente, anzi!

Magari domani resto” (Feltrinelli, 2017) è la storia di Luce, poco più che trentenne, che all’inizio del libro si presenta in questo modo: “Siamo a Napoli, Quartieri Spagnoli. Io vivo qui. Il mio nome è Luce. E sono donna.” Già questo è un preambolo bellissimo e come non andare avanti dopo queste parole!

Luce è un avvocato con a capo il settantenne, cascamorto di seconda professione, Arminio Geronimo, con un cane trovatello di nome Alleria (detto anche Cane Supremo), una madre, un fratello, un padre scappato di casa quando era piccola e un ex ragazzo codardo anch’esso fuggito da un giorno all’altro dalla sua vita. E poi c’è Carmen con suo figlio Kevin, conosciuti da Luce a causa del marito della prima, un boss malavitoso, che vuole portarle via il figlio. E poi ancora Vittorio, anziano vicino di casa costretto da anni su una carrozzina.

Luce è una delle eroine italiane più belle e più interessanti degli ultimi anni, non compie atti di coraggio o chissà che, ma semplicemente vive ogni giorno da donna, rivendicando i propri diritti, mostrando la propria forza, nonostante tutti quei lati oscuri del suo carattere, e la voglia di non cedere al mondo di quegli uomini convinti di essere superiori. 

È una madre in potenza, pur non avendo figli suoi, è una ragazza che tenta di capire, di perdonare, di raggiungere quella serenità tanto agognata.
Lorenzo Marone

Alle prese con una città bellissima, per quanto dura e talvolta oscura, è un piacere ritrovarsi tra le sue strade, con i suoi colori, il mare, la gente, che possiede però come lato negativo quella porzione di popolazione che porta avanti la camorra, la mafia del posto, a rendere la vita ancora più complicata.

Vi è poi l’idioma locale, il napoletano, tanto adoperato nei dialoghi, ma per nulla difficile da comprendere né fastidioso per chi non ne ha familiarità. È questo anzi un aspetto che rende la storia ancora più intima e particolare.

Luce vive la vita di ogni giorno tra dubbi, timori e tutte quelle incertezze tipiche di chi possiede la consapevolezza di quanto sia difficile esistere. Ma anche con tanta ironia che porta il lettore a sorridere più di una volta.

È così semplice innamorarsi di lei e delle storie, così attuali e intrise di nostalgia, dei personaggi che abitano questo romanzo del napoletano Lorenzo Marone, classe 1974, laureato in giurisprudenza come la sua protagonista, il quale spero davvero possa meritatamente aggiudicarsi il Bancarella



martedì 14 marzo 2017

“Le otto montagne” di Paolo Cognetti: un viaggio di amore e amicizia tra le cime montuose italiane

Le otto montagne, Paolo Cognetti
“Erano i posti dove si erano innamorati, dopo un po’ lo capii anch’io: fu un prete a portarceli da ragazzi e fu lo stesso prete a sposarli, ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, davanti alla chiesetta che c’è lì, una mattina d’autunno. Quel matrimonio di montagna era il mito fondativo della nostra famiglia. Osteggiato dai genitori di mia madre per motivi che non conoscevo, celebrato tra quattro amici, con le giacche a vento come abiti nuziali e un letto al rifugio Auronzo per la prima notte da marito e moglie. La neve brillava già sulle cenge della Cima Grande. Era un sabato di ottobre del 1972, la fine della stagione alpinistica per quello e molti anni a venire: il giorno dopo caricarono in macchina gli scarponi di cuoio, i pantaloni alla zuava, la gravidanza di lei e il contratto di assunzione di lui e se ne andarono a Milano.”
Negli ultimi due mesi del 2016 si è tanto parlato di questo romanzo, in ogni rivista, più o meno letteraria, se ne sono tessute le lodi ed è stato definito uno dei migliori libri dell’anno appena trascorso. Non amo mai leggere troppo su di un libro, principalmente per la paura che ne vengano svelati dettagli importanti, ma a primo acchito ebbi l’impressione di trovarmi di fronte all’”Into the wild” (film e romanzo di Jon Krakauer, in Italia per Corbaccio, 2008) italiano. Ma poi ho intuito che vi era dell’altro e per esserne sicura non dovevo fare altro che leggerlo. E così ho fatto!

“Le otto montagne” (Einaudi, novembre 2016) è la storia di una famiglia, quella di Pietro, che dalla montagna dovette trasferirsi in città, in quella Milano che tra gli anni Settanta e Ottanta mostrava, in quanto a grigiore, il peggio di sé e non era semplice abituarcisi per chi lì non ci era nato. Poi però ecco la scoperta di Grana, un paesino ai piedi del Monte Rosa

Quel luogo lì attendeva con ansia da sempre ed è così che anche Pietro, fin da piccolo, cominciò ad amare la montagna e a comprendere ciò che legava il padre e la madre ad esso. Il padre in particolare lo porterà ad esplorare le cime più alte nonostante il loro rapporto sempre in bilico tra amore ed incomprensioni. Un padre avido di parole, in netto contrasto con la madre che sulla socializzazione aveva basato la propria vita. 

E poi l’amicizia con Bruno, un amicizia al maschile, che raramente in letteratura troviamo rappresentata in maniera così realistica, che non avrà mai fine, nonostante le poche parole, i tanti sguardi e le lunghe lontananze.
Paolo Cognetti

“Le otto montagne” non è un libro per esperti di montagna, per quanto potrà appassionare chi lo è, ma una bellissima storia di formazione che si intreccia con i vissuti dell’autore Paolo Cognetti.

È sufficiente visitarne il blog per accorgersi quanto di lui ci sia in questo romanzo tanto semplice quanto poetico che in alcuni momenti, forse per il carattere del protagonista, nonostante si tratti di storie differenti, ricorda “Atti osceni in luogo privato” (Feltrinelli, 2015) di Marco Missiroli.

Ed è proprio nel blog che ne narra la genesi:
“Ero in cerca del mio Due di due e del mio Narciso e Boccadoro, del mio In mezzo scorre il fiume e del mio Gente del Wyoming. E quel giorno, nel Vallone della Forca, andando dietro al mio amico fuori dal sentiero, mi ricordo di aver pensato: ma ce l'hai già, questa storia, è tutta qui, non la vedi? La devi solo raccontare.”

“Le otto montagne” è la ricerca di se stessi con lo sfondo di un paesaggio che trasmette una profonda sensazione di libertà, è la difficoltà a relazionarsi con gli altri, la paura di soffrire, la voglia di scoprire cosa ci riserverà il futuro seguendo quel fiume che scorre inesorabile proprio come la vita.


Insomma, duecento pagine molto piacevoli e a tratti commoventi delle quali godere nei momenti di relax della giornata e forse, perché no, un invito a riscoprire quei luoghi, come la montagna, che hanno tanto da offrire anche a chi ancora non li conosce. 


martedì 7 marzo 2017

“Sylvia” di Leonard Michaels: un memoir sul precipizio di amore e follia

Sylvia, Leonard Michaels
“La naturalezza del nostro essere insieme in quel momento mi fece riflettere: È questo l’amore? E, se ci si innamora di qualcuno, il sentimento per quella persona può mai finire? Sylvia si strinse al mio fianco tenendomi il braccio. Mi sentii sposato a lei per sempre, e immaginai che si aspettasse di passare la notte con me e di fare l’amore. Ogni volta che tornavo in città, trascorrevo qualche notte con lei. Ma non volevo passare la notte insieme. Non volevo fare l’amore.”
Leonard Michaels nacque il 2 gennaio 1933 a New York City da genitori ebrei polacchi. Si laureò alla New York University ed ottenne poi un dottorato in letteratura inglese. Successivamente a questo si trasferì a Berkley nella cui università divenne professore di letteratura. Scrisse diverse raccolte di racconti, saggi e due romanzi. Morì in California nel maggio del 2003 all'età di settanta anni.

Il primo romanzo venne pubblicato nel 1981 (“The Men's Club”), mentre il secondo, “Sylvia”, nel 1992. È proprio di quest’ultimo che vi voglio parlare.

Mi ci sono imbattuta quasi per caso e dopo aver curiosato nella trama, e considerando che raramente le pubblicazioni della Adelphi deludono, non ho potuto far altro che leggerlo.

“Sylvia” (Adelphi 2016, traduzione di Vincenzo Vergiani) narra alcuni anni di vita dell’autore, quelli successivi alla laurea in letteratura durante i quali, tornato nella New York che l’aveva visto crescere, indeciso sul futuro e dedicandosi al dolce far niente, conobbe Sylvia Bloch, una ragazza tanto affascinante quanto enigmatica.

Le loro furono giornate, mesi e poi anni di convivenza caratterizzata da lunghe giornate d’amore lascivo, di ore trascorse a sognare, di voglia di perdersi nel piacere.

Erano anno critici per i giovani americani, e non solo. Si inseguivano eroi da venerare, libri che potessero essere di ispirazione, Elvis Presley e la Beat Generation predominavano e venir trascinati dal desiderio di scrivere e vivere di questo era diventato piuttosto comune.
Leonard Michaels

Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e le cose cominciarono a cambiare quando i baci divennero grida e le tranquille ore a scrivere incubi quotidiani. La follia divenne un’abitudine, gli sbalzi di umore di lei, l’allegria improvvisa, l’andirivieni di sentimenti al limite con la violenza fisica.

Sylvia era complicata anche per se stessa probabilmente, una donna che amava lasciarsi trascinare dalla mode, dalle droghe e da chi le capitava sotto tiro. Le esperienze forti riuscivano a farla sentire viva, pur essendo morta dentro da chissà quanto tempo. Sylvia che aveva ripreso a studiare, Sylvia che amava e odiava con la stessa intensità e che proprio per questa ragione è difficile da dimenticare.

“Sylvia” è intenso e crudele, forte e poetico e alla fine ci si domanda cosa davvero vi fosse dietro la sua storia. Un disagio psichico? Un passato turbolento? Forse aveva solamente bisogno di essere amata in modo incondizionato? 

E lui, Leonard Michaels, quanto è stato realmente influenzato da lei? È vero, ha deciso di ricordarla in un libro, ma non sarà stato un volerla intrappolare ancora una volta?

Sarebbe stato bello poter leggere anche il suo punto di vista, se solo non vi fosse stato un termine così rapido per la sua fragile esistenza.