mercoledì 27 gennaio 2021

“Un ca**o ebreo” di Katharina Volckmer: l’importanza della memoria, della sessualità, del corpo e dell’essere donna

Un cazzo ebreo, Katharina Volckmer
“Ha notato anche lei, dottor Seligman, o forse è abbastanza fortunato da essere troppo vecchio per questi tipo di modernità, come questi nuovi schiavi siano tutti progettati per tenerci dentro casa? Come ci stiano provando di ogni contatto umano, procacciandoci cibo, spesa e orgasmi mentre annegano quello che rimane dei nostri cervelli in programmi televisivi senza fine? Come si fotteranno e sfameranno fino a farci dimenticare in che modo pronunciamo il nostro stesso nome? Fino a farci dimenticare che non siamo solamente la foto di noi stessi su uno schermo. Fino a isolare il nostro inutile residuo di identità dietro una cortina di comfort e silenzio.”

La pubblicazione risale al 7 gennaio ma solo negli ultimi giorni se ne comincia a parlare, certamente complice la Giornata della Memoria 2021.

Il titolo non passa inosservato e ciò che questo libro contiene neppure. Ma cominciamo con la trama, se così può essere definita.

In uno studio medico di Londra una giovane donna è distesa su un lettino e si affida alle abili mani del dottor Seligman (non a caso ebreo, il cui nome significa, letteralmente, uomo beato) per un’operazione molto importante che si sta svolgendo in anestesia locale. E dal momento che la donna è pienamente cosciente comincia a parlare sciorinando la sua vita dall’inizio a quel momento, ricordando la madre autoritaria e il padre inesistente, analizzando la società, l’isolamento imperante, gli uomini che ha incontrato, la percezione dell’essere donna, l’amore che ha provato. Un flusso inesauribile di pensieri, un lungo monologo che spazia da un tema all’altro con rapidità e ironia (talvolta quasi nera) e che non annoia mai.

Va anche detto che lascia alquanto titubanti in alcuni passaggi.

Si comincia con la protagonista che racconta di aver sognato di essere Hitler che parlava con Mussolini di non so cosa. Prosegue con alcuni motti di disprezzo nei confronti della Germania (l’autrice, classe 1987, è tedesca ma vive ora a Londra dove lavora), dell’Italia e forse di un po’ tutti.  Quasi un vaneggiare. Ci sono poi i genitori, la vita privata, la sessualità, il suo corpo, i corpi femminili, i legami con il passato e la voglia di rimediare ad un qualcosa che poi così chiaro non è.

Katharina Volckmer
“Un cazzo ebreo” (La nave di Teseo, 2021, traduzione di Chiara Spaziani), primo romanzo di Katharina Volckmer,  è un testo diretto, schietto, che a tratti cade nella volgarità con una parvenza di coscienza sempre presente.

Diciamola tutta, con un titolo differente (quello originale è “The appointment. Or, The Story of a Jewish Cock”) non so se avrebbe attirato da subito così tanti lettori ma la provocazione ci sta e ci sta che sia ben scritto e che ogni riga porti alla successiva con facilità, nonostante i dubbi relativi a ciò che stiamo leggendo che a tratti somiglia più a fantascienza o a un testo intriso di sesso e perversione.

“Sono soltanto stanca e l’idea di potermi concentrare esclusivamente sul mio desiderio mi appare un sogno perduto da tempo. Di poter spegnere il mio partner quando non ho alcuna emozione da condividere.”

Gli articoli che parlano di questo libro sono numerosi (ne ho letto solo alcuni) ma si ha l’impressione che si basino principalmente su quanto viene detto sugli ebrei, sul passato nazista della Germania, sull’antisemitismo mai sopito, su un’educazione, a detta della Volckmer, volta alla cancellazione più che alla comprensione e all’analisi.

Questo è senza dubbio un aspetto importante di “Un cazzo ebreo” (e sono certa che in tanti faranno il possibile per accentuarlo allo sfinimento) ma siamo sicuri che sia l’unico?

“Non sono mai le cose rumorose a ucciderci, le cose che fanno vomitare e urlare e piangere. Quelle cose stanno solo cercando attenzione. Sono come gatti in primavera, dottor Seligman, vogliono provare la nostra resistenza, ci svegliano nel cuore della notte e ascoltano la melodia delle nostre maledizioni – ma non hanno cattive intenzioni. La morte è tutto quello che ci cresce dentro, tutto quello che alla fine esploderà, traboccando dai suoi circuiti naturali e inondando tutto ciò che ha bisogno di respirare.”

Dove mettiamo le riflessioni su vita e morte e soprattutto sulle donne, sulla violenza e sui corpi? La libertà dei corpi, la necessità di essere ciò che ci obbligano ad essere, la nostra percezione e quella degli altri?

Quanto spesso ci ritroviamo chiusi in un corpo che sono gli altri, e per altri intendo principalmente la collettività, a manipolare? E quanto ciò influenza la nostra psiche?

E tra le ultime pagine di questo testo così particolare (non spoilero nulla, non vi preoccupate) si legge una grande e cruda verità troppo spesso ignorata: “E non facevo che sbagliarmi, costantemente confusa dal fatto che, in quanto donna, ci sia in realtà meno da nascondere di un uomo, ma questo è stato prima di capire che un cazzo è una specie di spada, un oggetto di orgoglio e confronto, mentre una vagina rappresenta una cosa debole, della cui proprietà ci si può fidare poco. Una cosa che verrà sempre fottuta, che può essere stuprata e può restare incinta e arrecare vergogna a una casa e a una famiglia.”

Forse si può arrivare addirittura a pensare che essere donne sia uno svantaggio? E tale riflessione in cosa può sfociare?

In tanti punti mi sono dovuta fermare per rileggere frasi poco chiare o ambigue ma mi fermo qui perché è necessario arrivare alla fine per comprendere tante altre cose e scoprire il ruolo di K.

Qualora decideste di intraprendere questa lettura ricordate di non limitarvi all’aspetto più legato all’ebraicità, andate anche oltre e provate a leggere con sensibilità, con onestà, con coraggio e ironia, senza farvi spaventare dalle parole utilizzate, senza porvi limiti.

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lunedì 25 gennaio 2021

"Le congetture di Bonelli" di Cristina Biolcati - Primo Gruppo di Lettura in collaborazione con la pagina Leggere è viaggiare


"Si baciarono, come fossero due disperati aggrappati ad un ramo che riaffiora dalle sabbie mobili. E questa volta fu un baci o appassionato, che andò oltre la stanchezza e la lucidità. Due esseri simili e soli, che si erano ritrovati e si attraevano.”

 



𝑳'𝒂𝒏𝒈𝒐𝒍𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒄𝒖𝒍𝒕𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑩𝒆𝒄𝒌𝒚
& 𝑳𝒆𝒈𝒈𝒆𝒓𝒆 𝒆̀ 𝑽𝒊𝒂𝒈𝒈𝒊𝒂𝒓𝒆 sono felici di presentarvi il primo Gruppo di Lettura che vede protagonista la scrittrice Cristina Biolcati con il suo primo romanzo, il thriller "Le congetture di Bonelli"

DOVE --> Online: facebook.com
QUANDO --> Lunedì 1 febbraio 2021 
       PREZZO: gratis
Chiunque su Facebook o fuori Facebook
QUI il link all'evento su Facebook

La lettura inizia il 1° febbraio e termina il 1° marzo 2021 ed entro questa data verranno comunicati giorno ed orario nei quali si discuterà il libro, con presente l'autrice stessa.
Se siete interessati cliccate su Parteciperò e verrete ricontattati da me a fine mese tramite messaggio privato.

* Per la lettura avete due opzioni *
  1. acquistare il Kindle da qui;
  2. ottenere gratuitamente il PDF che io stessa invierò in privato a chi selezionerà 'Partecipo' sulla pagina Facebook dell'evento.
L'incontrò si terrà sulla pagina Leggere è viaggiare e sempre lì potrete trovare aggiornamenti al riguardo.

Sinossi del romanzo: Stadio Bonelli finge di essere un investigatore privato, mentre in realtà è un pirata informatico. Quando il figlio di un noto gioielliere scompare, è lui che viene chiamato dalla famiglia a indagare, nella speranza che il fatto non diventi di dominio pubblico e non venga allertata la polizia. In un crescendo di eventi, il ruvido Bonelli si troverà a far coppia con la giovane moglie dello scomparso, la bella Annelise, fortemente determinata a scoprire cosa sia accaduto al marito. I colpi di scena si susseguono, così come la scia di sangue, in quello che diventa un gioco pericoloso. Il caso, in apparenza semplice, sfugge al controllo e nessuno è ciò che sembra. Nascosto nel buio, qualcuno infatti cova vendetta. Fino all’inaspettata resa dei conti.
--> Potete leggere la mia recensione qui 

Vi aspettiamo numerose/i! Sarà bello poter commentare insieme il romanzo (gli spunti di riflessione sono davvero tanti, a partire dal fatto che la protagonista è una donna) e ascoltare le vostre opinioni sincere di lettrici/lettori! 
Non vi resta che andare andare sull'evento Facebook e cliccare su PARTECIPO! 
Buona lettura e a presto!! 



martedì 19 gennaio 2021

“Non è mai troppo tardi” di Stefania Russo: un inno alla speranza, all’amore universale e alla vita

Non è mai troppo tardi di Stefania Russo

“È quando sei giovane che la morte ti mette paura. Da vecchia non ha più alcun potere su di te. Quando sei rimasta sulla Terra abbastanza a lungo da poter vedere tutto quello che c’era da vedere, e forse anche un po’ di più, la morte assume un significato del tutto diverso, quasi liberatorio. Non è altro che il flusso naturale delle cose, una prospettiva fisiologica.”

Buon anno nuovo lettrici e lettori! Questa è la mia prima recensione del 2021 e spero che anche per voi l’anno sia cominciato con tante nuove letture interessanti! Le tensioni e le preoccupazioni dell’anno precedente non hanno favorito la lettura, nonostante il tempo trascorso a casa, ma proviamo a lasciarci alle spalle i brutti periodi e pensiamo solamente ai libri!!

Ho deciso di iniziare con un libro letto nel 2020 e sul quale non avevo ancora scritto, un libro che ho amato e che trovo ideale per un nuovo inizio ricco di speranza e buoni sentimenti.

Avete presente quei palazzoni di cemento grigi che vi accolgono all’entrata di Milano o che avete visto tante volte in televisione? Avete mai provato ad immaginare chi ci vive? Se pensate a persone che non se la passano troppo bene economicamente non siete lontani dalla realtà mentre vi siete sbagliati se avete immaginato malviventi o persone simili.

“Non è mai troppo tardi” racconta la storia di Annarita che in quello che chiama Mostro di cemento ci abita da una vita. Ha ottantaquattro anni, è costretta a muoversi in sedie a rotelle e potete immaginare l’accessibilità di simili strutture. Da alcuni anni non è più autosufficiente e Olga le da una mano alcune ore ogni giorno. 

La figlia Katia vive a pochi passi da lei ma sembra non avere più tempo per la madre; per fortuna c’è anche Stella che della nonna si prende cura e le fa compagnia ogni volta che le è possibile. Le giornate trascorrono così, tra affetti, amicizie, un caffè al bar sotto, le messe e le iniziative di don Antonio, le scorribande di Totò e i suoi amici. E poi la Banca del Tempo, l’idea di Stella che potrebbe essere la salvezza per la sorella di Olga gravemente malata.

“Non è mai troppo tardi” (Sperling & Kupfer, 2020) è il primo romanzo della giovane milanese (ora residente in provincia di Modena) Stefania Russo. Un romanzo del quale si è parlato tanto e ovunque, motivo per il quale ho deciso di leggerlo e posso ora dire di non essermene pentita.

La storia è molto bella, molto più di quanto potreste pensare dopo averne letto la trama.

Stefania Russo

Annarita è una protagonista perfetta e non vi fate ingannare dall’età, la sua vita è ricchissima, la sua esperienza è da esempio per i più giovani, e per noi lettrici e lettori, e ciò che le accade non è poi così lontano dalle nostre realtà.

“È bizzarro: a volte hai la sensazione di vivere l’ennesima giornata inutile della tua vita, poi un paio di amici ti portano due fette di torta e un bricco di caffè, e allora il mondo ti sembra subito migliore.”

Ogni personaggio di questa storia riveste un ruolo preciso ed è impossibile non affezionarsi a ciascuno di loro; cadauno portatore di racconti, di esistenze non semplici ma con la speranza e la voglia di mettersi in gioco sempre presenti.

Annarita, Stella e tutti gli altri ci insegnano ad andare avanti nonostante tutto e tutti, a mostrare considerazione per chi è più grande di noi senza dimenticare che, se avremo fortuna, un giorno noi stessi arriveremo a quell’età troppo spesso denigrata e spregiata. Nessuna età è troppo in là per meritare rispetto e felicità.

“Sta per arrivare la mia felicità e, scusatemi, ma adesso devo andare ad accoglierla.”

“Non è mai troppo tardi” è dolce, spietatamente reale, emozionante, pregno di solidarietà, di cooperazione e di quel fine sentimento che ci porta in mondi altri e che ci fa riflettere sul fatto che forse ciò che chiamiamo umanità ancora esiste, sta solamente a noi ritrovarla e farla nostra.

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