Un cazzo ebreo, Katharina Volckmer |
La
pubblicazione risale al 7 gennaio ma solo negli ultimi giorni se ne comincia a
parlare, certamente complice la Giornata della Memoria 2021.
Il
titolo non passa inosservato e ciò che questo libro contiene neppure. Ma
cominciamo con la trama, se così può essere definita.
In
uno studio medico di Londra una giovane donna è distesa su un lettino e si
affida alle abili mani del dottor Seligman (non a caso ebreo, il cui nome
significa, letteralmente, uomo beato) per un’operazione molto importante che si
sta svolgendo in anestesia locale. E dal momento che la donna è pienamente
cosciente comincia a parlare sciorinando la sua vita dall’inizio a quel
momento, ricordando la madre autoritaria e il padre inesistente, analizzando la
società, l’isolamento imperante, gli uomini che ha incontrato, la percezione
dell’essere donna, l’amore che ha provato. Un flusso inesauribile di pensieri,
un lungo monologo che spazia da un tema all’altro con rapidità e ironia
(talvolta quasi nera) e che non annoia mai.
Va
anche detto che lascia alquanto titubanti in alcuni passaggi.
Si
comincia con la protagonista che racconta di aver sognato di essere Hitler che
parlava con Mussolini di non so cosa. Prosegue con alcuni motti di disprezzo nei
confronti della Germania (l’autrice, classe 1987, è tedesca ma vive ora a
Londra dove lavora), dell’Italia e forse di un po’ tutti. Quasi un vaneggiare. Ci sono poi i genitori, la vita privata, la
sessualità, il suo corpo, i corpi femminili, i legami con il passato e la
voglia di rimediare ad un qualcosa che poi così chiaro non è.
Katharina Volckmer |
Diciamola
tutta, con un titolo differente (quello originale è “The appointment. Or, The
Story of a Jewish Cock”) non so se avrebbe attirato da subito così tanti
lettori ma la provocazione ci sta e ci sta che sia ben scritto e che ogni riga
porti alla successiva con facilità, nonostante i dubbi relativi a ciò che stiamo
leggendo che a tratti somiglia più a fantascienza o a un testo intriso di sesso
e perversione.
“Sono
soltanto stanca e l’idea di potermi concentrare esclusivamente sul mio
desiderio mi appare un sogno perduto da tempo. Di poter spegnere il mio partner
quando non ho alcuna emozione da condividere.”
Gli
articoli che parlano di questo libro sono numerosi (ne ho letto solo alcuni) ma
si ha l’impressione che si basino principalmente su quanto viene detto sugli
ebrei, sul passato nazista della Germania, sull’antisemitismo mai sopito, su un’educazione,
a detta della Volckmer, volta alla cancellazione più che alla comprensione e
all’analisi.
Questo
è senza dubbio un aspetto importante di “Un cazzo ebreo” (e sono certa che in
tanti faranno il possibile per accentuarlo allo sfinimento) ma siamo sicuri che
sia l’unico?
“Non sono mai le cose rumorose a ucciderci, le cose che fanno vomitare e urlare e piangere. Quelle cose stanno solo cercando attenzione. Sono come gatti in primavera, dottor Seligman, vogliono provare la nostra resistenza, ci svegliano nel cuore della notte e ascoltano la melodia delle nostre maledizioni – ma non hanno cattive intenzioni. La morte è tutto quello che ci cresce dentro, tutto quello che alla fine esploderà, traboccando dai suoi circuiti naturali e inondando tutto ciò che ha bisogno di respirare.”
Dove
mettiamo le riflessioni su vita e morte e soprattutto sulle donne, sulla
violenza e sui corpi? La libertà dei corpi, la necessità di essere ciò che ci
obbligano ad essere, la nostra percezione e quella degli altri?
Quanto
spesso ci ritroviamo chiusi in un corpo che sono gli altri, e per altri intendo
principalmente la collettività, a manipolare? E quanto ciò influenza la nostra
psiche?
E
tra le ultime pagine di questo testo così particolare (non spoilero nulla, non
vi preoccupate) si legge una grande e cruda verità troppo spesso ignorata: “E
non facevo che sbagliarmi, costantemente confusa dal fatto che, in quanto donna,
ci sia in realtà meno da nascondere di un uomo, ma questo è stato prima di capire
che un cazzo è una specie di spada, un oggetto di orgoglio e confronto, mentre
una vagina rappresenta una cosa debole, della cui proprietà ci si può fidare poco.
Una cosa che verrà sempre fottuta, che può essere stuprata e può restare
incinta e arrecare vergogna a una casa e a una famiglia.”
Forse
si può arrivare addirittura a pensare che essere donne sia uno svantaggio? E
tale riflessione in cosa può sfociare?
In
tanti punti mi sono dovuta fermare per rileggere frasi poco chiare o ambigue ma
mi fermo qui perché è necessario arrivare alla fine per comprendere tante altre
cose e scoprire il ruolo di K.
Qualora
decideste di intraprendere questa lettura ricordate di non limitarvi all’aspetto
più legato all’ebraicità, andate anche oltre e provate a leggere con sensibilità,
con onestà, con coraggio e ironia, senza farvi spaventare dalle parole utilizzate, senza porvi limiti.
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