martedì 27 settembre 2016

La natura esposta di Erri De Luca: vita e umanità tra le pagine del nuovo romanzo dello scrittore napoletano

La natura esposta
“Cammino fino al termine della notte. Incrocio i pescatori che vanno alle barche. Un bar apre per loro. Il buio si scolorisce, l’alba inizia con effetto di solvente, poi la notte si fa sollevare come una saracinesca. Qui non ci sono galli a salire sopra un montarozzo per strillare all'oriente. Qui scoppietta il motore diesel delle barche in uscita.”
Antonio D’Orrico l’ha definito pesante e illeggibile. Altre recensioni fanno invece riferimento ai processi che l’hanno visto protagonista di recente. Ma ci si può limitare a questo se davvero si è letto l’ultimo romanzo di Erri De Luca?

“La natura esposta” (Feltrinelli, 2016) si presenta in modo piuttosto semplice: un uomo di montagna, che nel tempo libero aveva preso l’abitudine di accompagnare profughi oltre il confine, si trova costretto a scendere a valle, lì dove c’è il mare. Qui propone la sua abilità di scultore per guadagnare quanto gli basta per vivere e viene per ciò ingaggiato da un prete per ricostruire la nudità di un crocifisso che è stato deturpato e che ora si intende riportare alla forma originale. È un lavoro duro, di precisione, molto più faticoso del previsto e implicante una serie di riflessioni che vanno oltre il semplice lavoro manuale.

“La natura esposta” è senza dubbio uno dei migliori romanzi di Erri De Luca. Seppur il protagonista principale ricordi in alcuni tratti gli uomini di montagna rudi e oscuri di Mauro Corona, per il resto si tratta di un romanzo dalle molteplici riflessioni e dal sapore filosofico.

Si parla di religione, di profughi, di ateismo, di agnosticismo, di arte, di montagna, di mare. Si parla di temi dei quali ci capita di discutere quotidianamente, è un incontro di pensieri che portano ad altri più profondi.

È un percorrere la storia prima attraverso il passato, in particolare attraverso i testi sacri, poi verso il presente e infine nel futuro che pare così prevedibile. È un ritorno all'umanità, ai rapporti tra esseri umani indipendenti da etnia, culto religioso o altro.

È un disquisire di religioni, al punto da immergersi in esse, denudarsi per comprendere meglio ciò che fu e che oggi sembra divenuto più complicato da comprendere.
Erri De Luca

È un romanzo da gustare con lentezza, nonostante il suo essere scorrevole, da ponderare. Frasi brevi, essenziali, così come dovrebbero essere le esistenze di chi decide di dare la giusta importanza alla vita stessa, priva di accessori superflui.

“La natura esposta” è un viaggio in una dimensione parallela, tra culture e usanze differenti, tra scelte difficili e nuove consapevolezze.


Un libro per chi ama andare oltre le semplici storie, per chi apprezza le contaminazioni, i toni quasi poetici e i misteri pregni di simbologie del passato. 


sabato 10 settembre 2016

“Io prima di te”, al cinema il film di Thea Sharrock tratto dall’omonimo romanzo di Jojo Moyes (#NO SPOILER)

Io prima di te
Per chi legge un libro non è mai così semplice pensare di vederne una trasposizione cinematografica. Quante volte siete rimasti delusi perché il film non riportava ciò il libro raccontava o perché erano state fatte modifiche insulse e fastidiose? 

Mi sono fatta questo discorso anche per “Io prima di te”. Mesi fa, quando venne annunciata l‘uscita al cinema, vidi alcuni trailers e cominciai ad avere i primi dubbi. Lou sembrava troppo ridicola, lui non so se mi convinceva e poi il resto… Non so, erano pochi minuti ma avevo già un giudizio piuttosto netto secondo il quale sarei rimasta delusa almeno al novanta per cento.

Poi però è arrivato il primo settembre, in giro si è cominciato a parlarne, tutti che andavano a vederlo e ne parlavano in modo entusiasta e allora la curiosità è stata troppo forte. Anche se in genere non amo né leggere né vedere al cinema ciò che in troppi leggono e vedono.

Sì, è vero, avevo già tutto in mente durante la lettura, la fantasia di un books addicted è infinita ma in fondo in fondo a tutti i lettori piacerebbe poter avere davanti agli occhi la ricostruzione di una storia che ci ha appassionato come è capitato a mezzo mondo con “Io prima di te”.

E così... ebbene sì, anche io ho ceduto e sono andata a vederlo! E ora posso darvi il mio parere. 

Ma prima qualche info tecnica. “Io prima di te” (nell’originale “Me Before You”) rappresenta il debutto cinematografico della regista inglese Thea Sharrockclasse 1974. Con una bella gavetta dietro di sé, è stata la più giovane regista teatrale britannica, e ha lavorato con nomi del calibro di Keira Knightley, Damian Lewis e Benedict Cumberbatch, solo per citarne alcuni.

La sua idea di riportare il romanzo di Jojo Moyes sul grande schermo è stata azzeccata, con il successo del libro era quasi scontato che l’uscita al cinema sarebbe stato accolto con altrettanto entusiasmo.
Lou e Will

Interpreti principali della pellicola Emilia Clarke (Louisa Clark - curiosa la somiglianza dei due cognomi – resa famosa dal ruolo di Daenerys Targary ne “Il Trono di Spade”), Sam Claflin (William Traynor, già visto in “Biancaneve e il cacciatore”, “Hunger Games: La ragazza di fuoco”, “Posh”), Janet McTeer (Camilla Traynor, protagonista di “Hannah Arendt” e della serie TV “The White Queen”), Charles Dance (Steven Traynor, anch’esso nel cast de “Il Trono di Spade”).

Tutto comincia come nel libro, Lou, ragazza estroversa ed estrosa, vive in un piccolo villaggio della campagna inglese, perde il lavoro e ne cerca uno nuovo e finisce a casa della benestante famiglia Traynor per intrattenere il figlio che alcuni anni prima ha subito un brutto incidente che lo ha paralizzato e costretto a trascorrere le giornate immobilizzato sulla sua carrozzina. Will non ha un carattere semplice ma Lou farà di tutto per alleggerirgli la vita.

Chi ha letto il libro sa come prosegue e come si conclude la storia, chi non l’ha letto deve farlo, perciò mi fermo qui con la trama. Sappiate in ogni caso che si tratta di una storia di amore, di libertà e di comprensione. Al centro vi sono le difficoltà di una persona con una disabilità sopraggiunta improvvisamente e il rapporto con gli altri, tra scoperte e luoghi comuni.

Una storia intensa che tra le pagine di Jojo Moyes (pubblicato in Italia la prima volta nel gennaio del 2012 dalla Mondadori e riproposto nel 2016 con un nuova copertina) trova la sua missione espressione ma che anche nel film la regista ha fatto il possibile per renderla nel migliore dei modi, seppur con qualche pecca.
L’atmosfera tra i due protagonisti è la stessa, così come la magia che nasce dal loro rapporto così stretto, ma, come sempre capita, difficilmente si riescono a riportare i pensieri e le riflessioni che si ritrovano tra le pagine.

Emilia Clarke è perfetta nella parte di Lou, i sorrisi, l’essere imbranata, la sua dolcezza ci sono tutti e ciò che si vedeva nel trailer è smentito in positivo. Lo stesso Sam Claflin nel ruolo di Will non è niente male. Ma la sorella di Will che fine ha fatto? Non la si nomina neppure. E le simpatiche gag con protagonista il nonno di Lou?

Me before you, Jojo Moyes
Un altro aspetto che può essere definito negativo è dato dai luoghi che rimangono anonimi. La verde campagna inglese è facilmente riconducibile, ma dove ci troviamo esattamente? Quali sono i luoghi in cui i due trascorrono del tempo fuori casa? E dove trascorrono la vacanza all'estero?

Il finale poi è forse troppo veloce, perché non giungere al termine lasciando allo spettatore più spazio per la riflessione e donando così maggiore pathos?

Certo, 110 minuti non sono sufficienti per raccontare tutto ciò che accade nelle quasi 400 pagine del libro, ma nonostante tutto il film merita di essere visto.

Pur notando delle mancanze è innegabile che le vicende rimangano fedeli all'originale, anche qui ritroviamo non la solita sdolcinata storia d’amore ma una storia di vita vera.

Per questo motivo il mio consiglio è di vedere il film, qualora ne abbiate l’occasione. Troverete come me dei difetti ma godrete di ogni momento ripensando al libro e ne uscirete piuttosto soddisfatti.


E se l’avete visto, o lo farete, e avrete voglia di parlarne, io sono qui! 


domenica 4 settembre 2016

“Nessuno esca piangendo” di Marta Verna: può una coppia essere felice anche senza figli?

Nessuno esca piangendo
“Questa infelicità a due è stata un’esperienza nuova, faticosa ed emozionante al tempo stesso. Mi stupisco nel pensare che essa abbia creato in noi un codice comunicativo talmente profondo ed esclusivo da ricordare beffardamente quel senso di magico isolamento dei giovani innamorati. Questa storia racconta di Caterina, che ancora non c’è, e di tutte le Caterine che già ci sono. Dice di una assenza e di molte presenze che cercano uno spazio sicuro dove convivere dentro di me.”
Spesso capita così, ti ritrovi sotto mano un libro, praticamente per caso, ti accorgi che è ciò che volevi leggere in quel momento e che oltretutto si collega ad alcuni fatti di attualità di cui tanto si è parlato in TV e sui social negli ultimi giorni. E allora cominci a leggere e non ti stacchi fino all'ultima pagina. Farlo prima significherebbe rompere quel filo conduttore che ti ha guidato fino al termine del libro e mettere in pausa le riflessioni raccolte nel corso della lettura.

Questo è quanto mi è capitato con “Nessuno esca piangendo” (Utet Libri, 2016) di Marta Verna, un memoir molto forte, a tratti spiazzante e commovente che riesce nel contempo a trasmette una inaspettata leggerezza.

Marta Verna è un medico, un'ematologa pediatrica, che ha deciso di mettere per iscritto una parte della sua vita piuttosto dolorosa trattando il delicato tema dell'infertilità di coppia

Tutto è cominciato quando, insieme al marito, hanno deciso di provare ad avere un figlio, la loro Caterina ‘che non esiste’. Dopo un primo periodo di tentativi hanno capito di doversi rivolgere a degli specialisti ma a nulla sono servite visite, cicli ormonali, fecondazione assistita e consigli degli esperti.

Marta non riesce però a farsene una ragione e non comprende da dove derivi questa sua necessità divenuta forse ossessione. Ci sono poi i bambini, quelli che incontra al lavoro, malati e talvolta condannati alla morte. Storie tristi che aiutano però a comprendere quanto di positivo si possa dedurre persino da queste terribili esperienze.

“Nessuno esca piangendo” è una confessione dolorosa di Marta in quanto donna. Una donna che fin da piccola ha ben chiari i limiti del genere femminile e che ha osservato la sua e altre famiglie svolgere percorsi ‘tradizionali’ comprendenti il matrimonio e l’arrivo dei figli.

Marta Verna
E leggendo le sue parole così dure e taglienti non si può non pensare alle trovate della Lorenzin, attuale Ministro della salute, di qualche giorno fa relative al “Fertility Day” con messaggi del tipo “La bellezza non ha età, la fertilità sì” o “Datti una mossa! Non aspettare la cicogna!”, come dire: muovetevi a fare dei figli o verrete esclusi dalla società perché la vostra esistenza non avrà un senso.

Marta si domanda ad un certo punto se questo suo desiderio derivi da un istinto insito negli esseri viventi, animali compresi, o se si tratti di una sorta di imposizione della società che mostra la donna come una ‘sfornatrice’ di pargoletti, la cui massima aspirazione debba essere quella di diventare madre. Con questo non voglio dire che avere figli sia una cosa negativa, assolutamente, ma si può essere madri in tanti modi diversi e lo si può essere senza costrizioni.

A parte questo, ogni donna sa di non poter avere figli dopo una certa età e che la menopausa segna il momento di cesura tra i due periodi dell’esistenza e questo crea una certa ansia. Ma è giusto che ciò accada? Che ci si debba sentire come se fossimo inseguite da un orologio biologico, il quale, scoccata la mezzanotte, si porterebbe via la nostra felicità? Ed è giusto che una coppia viva nell’infelicità per la non presenza di figli, qualunque sia il motivo del loro non arrivo?

Fertility Day
Non è semplice riemergere da questo libro senza piangere, come richiederebbe il titolo. Marta ha espresso e dato voce ad alcuni pensieri tra i più diffusi fra le donne e talvolta anche negli uomini, per quanto questi vengano sempre, o quasi, tacciati di insensibilità cronica.

Marta trasmette speranza, nonostante le sue insicurezza e il suo cercare di comprendere quale sia il reale traguardo di questa nostra esistenza.

Chissà quante coppie, quante donne, si rispecchieranno tra queste pagine, quanti genitori disperati o memori di fatti ormai lontani.

Marta infonde infine passione, quella che lei mette in tutto ciò che fa, il suo lavoro e la sua stessa infelicità, così profonda ma in fondo condivisa da molte più persone di quanto non si possa immaginare. 

Un libro in cui ritrovarsi, dentro il quale riflettere, una storia da condividere, da tenere nel cuore.