venerdì 8 luglio 2022

“Gli ultimi bambini di Tokyo” di Tawada Yōko: lo smarrimento e l’amore nel Giappone distopico del post-nucleare

Gli ultimi bambini di Tokyo, Tawada Yōko

“Quando si fugge dal luogo di un incendio è probabile che si faccia così. Fuoco equivaleva a dolore. Fin dal passato Marika non era mai stata brava con gli addii e con il trascorrere degli anni era diventata più impacciata. Come una bambina pensava che se strappare una benda doveva provocare un dolore simile a quello percepito quando si sfiora una ferita aperta, tanto valeva lasciare che la benda si imbrattasse, diventando scura e appiccicosa e cominciasse perfino a imputridire assieme alla pelle: era comunque meglio non toglierla mai.”

Il Giappone è ormai isolato dal resto del mondo, il disastro nucleare non ha lasciato scampo a terreno e mari e i bambini nascono con corpi deboli e deformi. Al contrario gli anziani, i sopravvissuti al disastro, sono ultracentenari, svolgono le attività quotidiane con tenacia e vegliano su quei piccoli fragili con la speranza che possano vivere il più a lungo possibile. Mumei è uno di quei bambini e il bisnonno Yoshirō si occupa di lui da sempre. 

Yoshirō ha paura e si sente in parte responsabile di quanto accaduto, al contrario Mumei vive con serenità, nonostante le condizioni fisiche non lo aiutino, ed è incredibilmente saggio per la sua età. Lui e i suoi coetanei saranno coloro che porteranno avanti il Giappone, ma solo se riusciranno ad andare avanti in questa complicata esistenza.

“Gli ultimi bambini di Tokyo” (Atmosphere Libri, collana Asiasphere, dicembre 2021, traduzione e postfazione di Veronica De Pieri) è l’ultimo romanzo tradotto dal giapponese a essere pubblicato in italiano di Tawada Yōko, scrittrice nata a Tokyo nel 1960 e trasferitasi negli anni Ottanta in Germania. La traduzione inglese le è valso, nel 2018, il prestigioso National Book Award negli Stati Uniti.

A pubblicarlo una giovane casa editrice che ci regala titoli davvero interessanti e senza la quale non ci sarebbe possibile leggere tanti autori ed autrici asiatici mai tradotti prima in lingua italiana.

Questo romanzo davvero bello e particolare è un distopico postatomico, il mio primo distopico giapponese a dire il vero. Non sapevo cosa aspettarmi e mi sono trovata immersa in un mondo assurdo ed onirico.

Benché non se ne parli apertamente tutto parte dal disastro nucleare di Fukushima-Dai-ichi del marzo 2011, nel romanzo un incidente molto più grave di quanto non sia stato nella realtà, e ciò che viene descritto è il Giappone dopo l’evento.

Non è più possibile uscire dai confini giapponesi e vige tutta una serie di regole restrittive: non è possibile pronunciare parole straniere, è proibito nominare le città straniere, alcuni argomenti riguardanti il passato sono tabù e nuovi divieti possono essere stabiliti da un momento all’altro.

“Quello che lui poteva insegnarli era l’agricoltura della lingua, ma sperava che loro stessi piantassero, coltivassero, raccogliessero e mangiassero parole, fino a saziarsene.”

È un mondo paradossale nel quale i bambini hanno i capelli grigi e gli anziani sono fisicamente più giovani di loro.

Tawada Yōko
I più piccoli saranno gli emissari del futuro (non a caso il titolo originale è Kentōshi = emissario), nulla è casuale nel racconto, neppure i nomi lo sono: Mumei è ‘il senza nome’ e Yoshirō ‘l’uomo giusto’. Quest’ultimo di professione è scrittore ed è un po’ l’alter ego ed il portavoce della storia intera. Il punto di vista di ogni cosa è il suo, i suoi sono occhi perspicaci e pronti ad ogni evenienza.

“Avrebbe dovuto scegliere fra loro il più adatto come “emissario”: il suo lavoro consisteva nel trovarsi nell’ambiente ideale per l’osservazione quotidiana di tanti ragazzini delle elementari. Tra tutti aveva puntato gli occhi su Mumei, ma non avrebbe potuto fornire un giudizio definitivo se non dopo aver considerato con attenzione, per diversi anni, la sua crescita.”

La scrittura è scorrevole e si presta al tempo stesso ad una lettura attenta e minuziosa. Ci troviamo sì in una realtà distopica ma siamo sicuri che non si possa trattare di immagini profetiche?

Ci si augura naturalmente che nulla di quanto scritto in questo libro possa avverarsi ma averne una visione così lucida fa riflettere, rabbrividire e ci trasporta in una poesia apocalittica difficile da dimenticare.

“Prendeva ampi respiri osservando il cielo. Non aveva preoccupazioni. La generazione di Mumei era provvista della capacità di non disperarsi. Come al solito erano gli anziani quelli da compatire.”

La scrittura di Tawada Yōko è riconoscibile e nonostante la distruzione e il disastro del nucleare ogni pagina è permeata di speranza, di giochi di parole che permettono di sdrammatizzare; l’ordine naturale è ribaltato ma ogni cosa ha senso e la bellezza è ovunque, tra le pagine del libro, negli occhi di scrive e di chi legge.

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