Il vestito dei libri, Jhumpa Lahiri |
“Una copertina appare solo quando il libro è terminato, solo quando sta per fare il suo ingresso nel mondo. Segna la nascita del libro, e dunque la fine del mio percorso creativo. Conferisce al libro un sigillo di indipendenza, una vita propria. Indica a me che il mio lavoro è concluso. Quindi mentre per la casa editrice la copertina significa l’arrivo del libro, per me invece significa un addio.”
Vi è mai capitato di
acquistare un libro perché attirati dalla sua copertina? E di acquistarlo
solamente per riporlo nella libreria e di tanto in tanto ammirarlo senza mai
leggerlo?
Ogni lettore è differente
e sceglie le proprie lettura secondo diversi criteri, chi perché attirato dalla
trama, chi per la fiducia prestata ad un determinato autore, altri ancora per
il clamore suscitato da un certo titolo o per i Premi assegnati.
Ma avete mai
pensato a quanto la copertina sia importante e quanto questa ci influenzi?
Pensate solamente a
quando entrate in una libreria e date un’occhiata generale: verrete attirati
immediatamente da una bella copertina (poi magari leggendone la trama
deciderete di lasciarlo lì dove si trova) o da un libro con un titolo sopra un
semplice sfondo bianco?
È proprio di questo che
parla il bellissimo volumetto “Il vestito dei libri” (Guanda, 2017) di Jhumpa
Lahiri, scrittrice nata a Londra da genitori bengalesi e residente negli Stati
Uniti, autrice di cinque libri pubblicati in Italia da Guanda (“L’interprete
dei malanni”, “L’omonimo”, “Una nuova terra”, “La moglie”, “In altre parole”) e
vincitrice nel 2000 del Premio Pulitzer.
“Il vestito dei libri” è
un interessantissima visione del mondo delle copertine dei libri, la percezione
da parte degli scrittori che ne vedono applicata una ai propri scritti e
l’importanza che questa riveste nel mondo dell’editoria.
“Quando,
a trentadue anni, ho iniziato a pubblicare libri, ho scoperto che un’altra
parte di me andava vestita e presentata al mondo. Ma ciò che viene messo
addosso alle mie parole – le copertine dei miei libri – non è una scelta mia.
Mi trovo a volte costretta ad accettare copertine che trovo sgradevoli,
problematiche, deludenti. Tendo a cedere. Mi dico: lascia perdere, non vale la
pena di combattere. Ma poi ne resto afflitta, risentita.”
Jhumpa Lahiri |
Un’esperienza non sempre
così positiva per chi il libro l’ha scritto mentre quasi sempre il lettore ignora
questo aspetto privilegiando la forza attrattiva delle copertine.
Di queste ne
sono state create milioni e qualche volta, Lahiri lo racconta in quanto
esperienza personale, la stessa è stata adoperata per più di un titolo,
appartenenti a differente autori, con il rischio di creare confusione.
Libri che narrano storie,
copertine che a volte ne raccontano di diverse pur trattandosi del vestito
delle prime. Per non parlare poi delle differenti versioni in relazione al Paese
di pubblicazione.
Poco più di trentaquattro pagine, scritte
durante il soggiorno a Roma dell’autrice, ricche di pensieri, di punti di vista
e soprattutto di libri, di storie e di copertine nelle quali il lettore, ma
soprattutto lo scrittore, può identificarsi, anche se non sempre con successo.
“Vedo
un miscuglio di libri senza giacca, con copertine rigide senza immagini, oppure
con una sovraccoperta protetta da plastica. Ci sono libri di ogni età, di ogni
genere, pubblicati negli ultimi anni o più di un secolo fa. Si vede un amalgama
di stili, di pensieri diversi. Si vede poca uniformità. C’è confusione ma anche
una sorta di allegria. Mi pare una festa composta di singoli individui che si
trovano comunque bene assieme. Percepisco un ambiente inclusivo. Suggerisce che
qualunque libro può entrare, può abitare sugli scaffali.”
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