giovedì 27 aprile 2017

"Il vestito dei libri" di Jhumpa Lahiri: un must per gli amanti dei libri e delle loro copertine

Il vestito dei libri, Jhumpa Lahiri
“Una copertina appare solo quando il libro è terminato, solo quando sta per fare il suo ingresso nel mondo. Segna la nascita del libro, e dunque la fine del mio percorso creativo. Conferisce al libro un sigillo di indipendenza, una vita propria. Indica a me che il mio lavoro è concluso. Quindi mentre per la casa editrice la copertina significa l’arrivo del libro, per me invece significa un addio.”
Vi è mai capitato di acquistare un libro perché attirati dalla sua copertina? E di acquistarlo solamente per riporlo nella libreria e di tanto in tanto ammirarlo senza mai leggerlo?

Ogni lettore è differente e sceglie le proprie lettura secondo diversi criteri, chi perché attirato dalla trama, chi per la fiducia prestata ad un determinato autore, altri ancora per il clamore suscitato da un certo titolo o per i Premi assegnati. 

Ma avete mai pensato a quanto la copertina sia importante e quanto questa ci influenzi?

Pensate solamente a quando entrate in una libreria e date un’occhiata generale: verrete attirati immediatamente da una bella copertina (poi magari leggendone la trama deciderete di lasciarlo lì dove si trova) o da un libro con un titolo sopra un semplice sfondo bianco?

È proprio di questo che parla il bellissimo volumetto “Il vestito dei libri” (Guanda, 2017) di Jhumpa Lahiri, scrittrice nata a Londra da genitori bengalesi e residente negli Stati Uniti, autrice di cinque libri pubblicati in Italia da Guanda (“L’interprete dei malanni”, “L’omonimo”, “Una nuova terra”, “La moglie”, “In altre parole”) e vincitrice nel 2000 del Premio Pulitzer.

“Il vestito dei libri” è un interessantissima visione del mondo delle copertine dei libri, la percezione da parte degli scrittori che ne vedono applicata una ai propri scritti e l’importanza che questa riveste nel mondo dell’editoria.

“Quando, a trentadue anni, ho iniziato a pubblicare libri, ho scoperto che un’altra parte di me andava vestita e presentata al mondo. Ma ciò che viene messo addosso alle mie parole – le copertine dei miei libri – non è una scelta mia. Mi trovo a volte costretta ad accettare copertine che trovo sgradevoli, problematiche, deludenti. Tendo a cedere. Mi dico: lascia perdere, non vale la pena di combattere. Ma poi ne resto afflitta, risentita.”

Jhumpa Lahiri
Un’esperienza non sempre così positiva per chi il libro l’ha scritto mentre quasi sempre il lettore ignora questo aspetto privilegiando la forza attrattiva delle copertine. 

Di queste ne sono state create milioni e qualche volta, Lahiri lo racconta in quanto esperienza personale, la stessa è stata adoperata per più di un titolo, appartenenti a differente autori, con il rischio di creare confusione.

Libri che narrano storie, copertine che a volte ne raccontano di diverse pur trattandosi del vestito delle prime. Per non parlare poi delle differenti versioni in relazione al Paese di pubblicazione.

 Poco più di trentaquattro pagine, scritte durante il soggiorno a Roma dell’autrice, ricche di pensieri, di punti di vista e soprattutto di libri, di storie e di copertine nelle quali il lettore, ma soprattutto lo scrittore, può identificarsi, anche se non sempre con successo.


“Vedo un miscuglio di libri senza giacca, con copertine rigide senza immagini, oppure con una sovraccoperta protetta da plastica. Ci sono libri di ogni età, di ogni genere, pubblicati negli ultimi anni o più di un secolo fa. Si vede un amalgama di stili, di pensieri diversi. Si vede poca uniformità. C’è confusione ma anche una sorta di allegria. Mi pare una festa composta di singoli individui che si trovano comunque bene assieme. Percepisco un ambiente inclusivo. Suggerisce che qualunque libro può entrare, può abitare sugli scaffali.”  


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