Stazione di Baranovitch, Shalom Aleichem |
“Alcuni presero a dire che una storia del genere era accaduta anche da loro. Cioè, non proprio quella, ma una che si era sviluppata allo stesso modo. E insistettero per raccontare la loro vicenda, tanto che nella carrozza sembrava di essere a una fiera. Almeno finché non torno l’uomo di Kamink: a quel punto tutto tacque. La folla si strinse, gli uni vicini agli altri, quasi a formare una parete. E tutti ripresero ad ascoltare la storia dell’uomo di Kamink con attenzione.”
Tre racconti, tante
storie di altrettanti uomini e donne alle prese con le vicissitudini della
vita. Il luogo di incontro, involontario, ma forse non troppo, e fortemente significativo,
è un treno. Uno di quelli antichi, con la divisione in classi e le persone che
si incontrano, parlano e raccontano storie.
Immaginate se questi viaggiatori e
narratori sono poi degli ebrei! Non possono nascerne che incredibili storie dai
finali imprevedibili e dal classico umorismo ebraico, il Witz, così conosciuto
ma sempre così nuovo e differente da autore ad autore.
E ancora più se parliamo
di Shalom Aleichem, pseudonimo (il cui significato è ‘la pace sia con voi) dello
scrittore e drammaturgo Shalom Rabinowitz, nientedimeno che uno dei fondatori
della letteratura yiddish e tra i suoi maggiori umoristi. Lui in prima persona
fu un viaggiatore instancabile, in continuo girovagare tra Ucraina, patria di
origine, Svizzera e Stati Uniti d’America. Lo fu anche dal punto di vista
letterario, tra novelle, monologhi, storie per ragazzi, testi teatrali e
romanzi.
In “Stazione di
Baranovitch. Tre racconti ferroviari” (EDB, Edizioni Dehoniane Bologna, 2017, a
cura di Daniela Leoni) ci imbattiamo prima (in “Stazione di Baranovitch”) in un
ebreo che, costretto ad abbandonare il suo paese, fugge e una volta lontano
comincia a fare richieste di denaro alla comunità che inizialmente acconsente,
felice che il ragazzo non sia morto come pensato inizialmente, ma poi le cose
cambiano.
Shalom Aleichem |
“L’uomo di Buenos Aires”
è invece la storia di un uomo, giunto dopo tante peripezie a Buenos Aires, il
quale si vanta delle ricchezze acquisite non si sa bene come e che è atteso da
anni al suo paese di origine come se fosse il Messia.
“Tomba di famiglia” è
infine il racconto di un padre che fatica a comprendere le scelte dei giovani
ed in particolare della figlia Etke con la quale ha un rapporto discordante. E
le cose non mutano quando lui scopre che lei pratica letture non troppo consone
ad una ragazza di quella età e di buona famiglia.
Non c’è pagina che non
faccia ridere e al tempo stesso riflettere. I finali sono talvolta drammatici ma
narrati con una tale leggerezza da lasciare il lettore disorientato, ma non
negativamente.
Quando si leggono autori
di origine ebraica non si può mai sapere verso quali strade si verrà condotti e questa
piacevolissima raccolta di racconti, un volumetto davvero carino, pratico e di notevole
fattura, non fa certo eccezione.
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