martedì 4 ottobre 2022

“Gioventù” di Tove Ditlevsen: la poesia e l’emancipazione di una giovane donna danese

Gioventù, Tove Ditlevsen

“Finché abito qui sono condannata alla solitudine e all’anonimato. Il mondo non avrà mai alcuna considerazione di me, e ogni volta che ne afferrerò un brandello, mi scivolerà via di mano. Le persone muoiono, e le case vengono abbandonate sopra di loro. Tutto è in continuo mutamento, l’unico mondo che permane è quello della mia infanzia.”

La piccola Tove ha dovuto lasciare la scuola, non si poteva permettere di proseguire gli studi, nonostante la sua attitudine per le materie letterarie. È così che comincia la sua vita da giovane lavoratrice, da un luogo di lavoro all’altro, con la perenne speranza di trovarne uno che la soddisfi. 

Pare che nessuno comprenda le sue potenzialità e quando finalmente riesce ad ottenere un posto da impiegata la collega di lavoro non le permette di imparare il mestiere. 

L’infanzia è ormai passato ma la voglia di scrivere poesie si mescola al desiderio di comporne di più mature. Alcuni incontri importanti le permetteranno di acquisire maggiore consapevolezza al riguardo ma non mancheranno le mortificazioni e anche l’aver lasciato l’abitazione dei genitori non sarà come se l’era immaginato. A complicare maggiormente le cose la guerra che sta coinvolgendo l’Europa intera, Danimarca compresa.

“Gioventù” (Fazi Editore, ottobre 2022, traduzione di Alessandro Storti) che arriva pochi mesi dopo la pubblicazione di “Infanzia”, è il secondo capitolo della trilogia di Copenhagen, grande classico della letteratura danese oggi riscoperto e acclamato a livello internazionale.

È poesia pura e cruda, la vita di una donna che dovete rimboccarsi le maniche in una società non esattamente propensa al successo femminile. Il suo desiderio di comporre versi venne più volte messo a repentaglio e più volte lei provò a convincersi, inefficacemente, che quella non era la sua strada.

“Ho smesso di comporre versi, perché nella mia quotidianità non c’è nulla che mi ispiri a farlo.”

Quella di Tove Ditlevsen è una storia di emancipazione, di crescita, di distacco e ritorno al tempo stesso a quella infanzia compresa solamente nel momento in cui questa lascia spazio, seppur troppo presto, all’età adulta.

“Quando andiamo al cinema, io mi pago il biglietto da
sola, non soltanto perché lui non potrebbe permettersi di pagare per tutti e due, ma anche perché trovo che questo gesto mi emancipi un po’ di più.”

Tove Ditlevsen
Non erano anni semplici, la Seconda guerra mondiale era alle porte e trovare punti di riferimento nella vita quotidiana era ancora più complicato. L’amore poteva essere una strada ma nulla contava di più per lei della voglia di vivere a pieno la vita reale, l’arte, la letteratura, la poesia.

Come Annie Ernaux o Simone de Beauvoir la Ditlevsen trasforma la propria esistenza in una vera e propria opera d’arte, in un romanzo che di fittizio non ha nulla e che, nonostante l’ambientazione, è fortemente attuale e nel quale chiunque può scorgere qualcosa di sé.

Un ritratto personale che coinvolge e colpisce per la sua schiettezza ed eleganza, per la maestria nel raccontare ogni aspetto senza filtri, per la freschezza della narrazione e l’intensità di ogni visione che ci viene regalata come testimonianza di una storia che non possiamo permetterci di far cadere nell’oblio.

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