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Gioventù, Tove Ditlevsen |
“Finché abito qui sono condannata alla solitudine e all’anonimato. Il mondo non avrà mai alcuna considerazione di me, e ogni volta che ne afferrerò un brandello, mi scivolerà via di mano. Le persone muoiono, e le case vengono abbandonate sopra di loro. Tutto è in continuo mutamento, l’unico mondo che permane è quello della mia infanzia.”
La piccola Tove ha dovuto lasciare la scuola, non si poteva permettere di proseguire gli studi, nonostante la sua attitudine per le materie letterarie. È così che comincia la sua vita da giovane lavoratrice, da un luogo di lavoro all’altro, con la perenne speranza di trovarne uno che la soddisfi.
Pare che nessuno comprenda le sue potenzialità e quando finalmente riesce ad ottenere un posto da impiegata la collega di lavoro non le permette di imparare il mestiere.
L’infanzia è ormai passato ma
la voglia di scrivere poesie si mescola al desiderio di comporne di più mature.
Alcuni incontri importanti le permetteranno di acquisire maggiore
consapevolezza al riguardo ma non mancheranno le mortificazioni e anche l’aver
lasciato l’abitazione dei genitori non sarà come se l’era immaginato. A complicare
maggiormente le cose la guerra che sta coinvolgendo l’Europa intera, Danimarca
compresa.
“Gioventù” (Fazi Editore,
ottobre 2022, traduzione di Alessandro Storti) che arriva pochi mesi dopo la
pubblicazione di “Infanzia”, è il secondo capitolo della trilogia di Copenhagen,
grande classico della letteratura danese oggi riscoperto e acclamato a livello
internazionale.
È poesia pura e cruda, la
vita di una donna che dovete rimboccarsi le maniche in una società non
esattamente propensa al successo femminile. Il suo desiderio di comporre versi
venne più volte messo a repentaglio e più volte lei provò a convincersi, inefficacemente,
che quella non era la sua strada.
“Ho smesso di comporre
versi, perché nella mia quotidianità non c’è nulla che mi ispiri a farlo.”
Quella di Tove Ditlevsen
è una storia di emancipazione, di crescita, di distacco e ritorno al tempo
stesso a quella infanzia compresa solamente nel momento in cui questa lascia spazio,
seppur troppo presto, all’età adulta.
“Quando andiamo al
cinema, io mi pago il biglietto da
sola, non soltanto perché lui non potrebbe
permettersi di pagare per tutti e due, ma anche perché trovo che questo gesto
mi emancipi un po’ di più.”
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Tove Ditlevsen |
Come Annie Ernaux o
Simone de Beauvoir la Ditlevsen trasforma la propria esistenza in una vera e
propria opera d’arte, in un romanzo che di fittizio non ha nulla e che,
nonostante l’ambientazione, è fortemente attuale e nel quale chiunque può scorgere
qualcosa di sé.
Un ritratto personale che
coinvolge e colpisce per la sua schiettezza ed eleganza, per la maestria nel raccontare
ogni aspetto senza filtri, per la freschezza della narrazione e l’intensità di
ogni visione che ci viene regalata come testimonianza di una storia che non possiamo
permetterci di far cadere nell’oblio.
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