mercoledì 21 settembre 2022

“Infanzia” di Tove Ditlevsen: l’autoritratto di una donna che desiderava solamente trovare se stessa nel mondo

Infanzia, Tove Ditlevsen

“Mio padre era andato al lavoro e mio fratello a scuola. Perciò mia madre era sola, anche se c’ero io, e se restavo perfettamente immobile senza dire nulla, la quiete distante del suo cuore misterioso poteva durare finché il mattino non fosse invecchiato e lei non fosse dovuta uscire per fare la spesa in Istegade come una signora qualunque.”

Tove è una bambina che vive con i genitori e il fratello maggiore in un quartiere operaio di Copenaghen.

Il padre passa da un impiego all’altro e sdegna il socialismo mentre la madre è piena di rancore, non è ben chiaro per quale motivo, e sempre intrattabile con tutti. 

Per Tove crescere e stare con gli altri non è semplice e persino con l’amica Ruth non riesce ad essere veramente se stessa. 

Il suo desiderio è quello di scrivere poesie ma il padre le ha detto che le donne non possono scrivere e la madre, ne è certa, la riterrebbe un’attività inutile e frivola.

Forse il fratello ha intuito qualcosa ma anche lui è troppo preso dalla sua vita non semplice per pensare a quella della sorella.

Tove si rende conto ben presto che quello in cui si trova non è il suo mondo, nessuno la capisce, quelle persone le sono per lo più estranee ed è come se osservasse dall’esterno ciò che le accade.

“Infanzia” (Fazi Editore, 2022, traduzione di Alessandro Storti) è il primo volume della trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen, scrittrice e poetessa danese che si tolse la vita nel 1976.

La sua vita tormentata ebbe inizio tra le mura di casa, durante la sua infanzia, ed è questa che viene raccontata nella sua autobiografia, per la prima volta tradotta in Italia e solamente di recente riscoperta e celebrata a livello mondiale come capolavoro.

“Buia è l’infanzia, e sempre sofferente come un animaletto intrappolato in un sotterraneo e dimenticato. Esce dalla gola come fiato condensato dal gelo, e certe volte è troppo piccola, altre volte troppo grande. Non ha mai la misura che ci vorrebbe.”

Ogni parola, ogni pagina ci riportano in luoghi e visioni ben precise, quasi come se in quei luoghi e con quelle persone fossimo presenti anche noi.

Con lei riviviamo l’angoscia, il tormento di un’infanzia che Tove non vede l’ora di abbandonare ma che una volta trascorsa non sarà meno dolorosa.

“Giù, sul fondale dell’infanzia, c’è mio padre che ride. È nero e vecchio come la stufa di maiolica, ma non ha nulla che mi faccia paura. Di lui, so quel che so, e se voglio sapere altro, non ho che da chiedere. Di sua iniziativa non mi parla, perché non sa cosa dire a una bambina.”

Neppure in Danimarca era semplice farsi avanti nel mondo della cultura per una donna e per lei, che di libri e poesia e vita reale voleva nutrirsi, fu sempre così faticoso e desolante.

Tove Ditlevsen
Quello che troviamo in “Infanzia” è un dolore reale, tangibile, onesto, un grigiore che va dalle battaglie della classe operaia a quello dell’animo della madre e della stessa Tove.  

“Allora io mi tolgo la veste, la sopragonna di lana e i calzettoni neri che ogni anno ricevo a Natale, m’infilo la camicia da notte e per un istante mi siedo sul davanzale interno della finestra a guardare il cortile nero, giù nell’abisso, e il muro della casa dirimpetto, che piange sempre, come se avesse appena piovuto.”

Tove Ditlevse niente ha da invidiare alle colleghe Annie Ernaux o Simone de Beauvoir, per citarne alcune, che come lei che hanno saputo raccontare l’essere donne e la femminilità con spietata concretezza e poesia al tempo stesso.

Pagine indimenticabili che ben presto si riempiranno di nuove parole con la pubblicazione del secondo capitolo dal titolo “Gioventù”.

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