Il bambino che disegnava le ombre, Oriana Ramunno
“Hugo sentì il corpo scosso dai fremiti. Pensò a Gioele, alla puntura di fenolo che Josef Mengele gli avrebbe fatto non appena suo fratello fosse morto, al rumore che il suo cuore avrebbe fatto quando si sarebbe spaccato.”
Siamo nel pieno della Seconda
guerra mondiale. È dicembre e ad Auschwitz nevica copiosamente quando viene
ritrovato il cadavere di Sigismud Braun, un pediatra che lavorava nello stesso blocco
di Josef Mengele, noto per gli esperimenti sui gemelli. Hugo Fischer,
investigatore di punta della Kriminalpolizei, viene chiamato ad indagare e
scoprire chi l’abbia assassinato.
Da Berlino Fischer viene catapultato nei campi di
Auschwitz e Birkenau, un mondo che conosceva in modo superficiale ma del quale
ignorava le dinamiche più profonde e cruente.
A dargli una mano nelle indagini il piccolo
Gioele, ebreo di origine italiana, colui che ha trovato il medico morto e che
ha tratteggiato, in disegno, la scena del delitto.
Gioele è una delle cavie di Mengele e tra lui e
Fischer nascerà un rapporto di affetto che arricchirà entrambi, nonostante le
aspettative future e il finale potrebbero non essere delle migliori.
Forse in tutto quell’orrore potrà fiorire qualcosa
di insperato o forse niente avrà salvezza e tutto proseguirà così come è
iniziato.
“Di fianco, vide sporgere
gli occhialini rotti e una lametta per rasare la barba. In quel momento, capì
dove tutto era iniziato: nelle cose piccole e comuni, nella banalità delle
azioni quotidiane, nell’inconsapevolezza del pericolo. “
“Il bambino che disegnava
le ombre” (Rizzoli, 2021) è il bellissimo giallo della scrittrice italiana, di origini lucane
ma residente a Berlino, Oriana Ramunno.
Un romanzo che tiene il lettore attaccato alle
pagine dalla prima all’ultima, tra la voglia di voler scoprire insieme a
Fischer chi sia l’assassino e le immagini di luoghi di morte nei quali gli atti
violenti e disumani non mancano mai.
Tra storia e fiction ci ritroviamo a riflettere su
fatti accaduti in un periodo da sempre molto discusso e la bellezza di questo
libro sta anche nell’intelligenza di non cadere mai neipregiudizi e nell’aver
creato personaggi realistici perfetti per il contesto descritto. Oriana Ramunno
Ed entriamo nella psiche di chi lavora nei campi facendoci intuire che per nessuno era semplice stare lì, neppure per gli stessi tedeschi, andando così oltre i classici pregiudizi legati a questo periodo storico.
Nelle storie dei vari soggetti non è difficile
rintracciare la banalità del male di Hannah Arendt e l’olocausto come
prodotto della modernità descritto e analizzato da Zygmunt Bauman.
“Hugo annuì. Conosceva i
rischi dell’esporsi troppo e male. Per questo stava zitto da anni. Per questo
appuntava con cura sul cappotto la spilla rossa con la svastica. In tanti, come
lui, tacevano perché consapevoli del pericolo.”
Auschwitz e Birkenau poi sono divenuti luoghi
simbolo e le descrizioni della Ramunno sono così realiste e dettagliate da
avere l’impressione di trovarsi lì, ancora più per chi, come me, qui luoghi li
ha visitati di persona.
Un vero e proprio inferno nel quale le situazioni
crude, alcune a prova di stomaci forti, non vengono risparmiate.
“Odiò Auschwitz. Quel
luogo lo avrebbe rovinato per sempre, lo avrebbe risucchiato e stritolato, se
non fosse fuggito il prima possibile lasciandosi tutto alle spalle.”
“Il bambino che disegnava
le ombre” è davvero bello, coinvolgente, triste e disperato ma al contempo
ricco di speranza, quella scaturisce dalle cose più piccole, di suspence (la
prospettiva di un film mi ha solleticato più volte durante la lettura), e
commuove profondamente, grazie a Fischer, così risoluto e fragile, e
soprattutto a Gioele, ancora piccolo ma già così adulto, consapevole del mondo
che lo circonda e con una profonda necessità di umanità.
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