giovedì 10 giugno 2021

“Il bambino che disegnava le ombre” di Oriana Ramunno: ad Auschwitz e Birkenau tra cadaveri e cavie-bambini

Il bambino che disegnava le ombre, Oriana Ramunno

 

“Hugo sentì il corpo scosso dai fremiti. Pensò a Gioele, alla puntura di fenolo che Josef Mengele gli avrebbe fatto non appena suo fratello fosse morto, al rumore che il suo cuore avrebbe fatto quando si sarebbe spaccato.”

Siamo nel pieno della Seconda guerra mondiale. È dicembre e ad Auschwitz nevica copiosamente quando viene ritrovato il cadavere di Sigismud Braun, un pediatra che lavorava nello stesso blocco di Josef Mengele, noto per gli esperimenti sui gemelli. Hugo Fischer, investigatore di punta della Kriminalpolizei, viene chiamato ad indagare e scoprire chi l’abbia assassinato.

Da Berlino Fischer viene catapultato nei campi di Auschwitz e Birkenau, un mondo che conosceva in modo superficiale ma del quale ignorava le dinamiche più profonde e cruente.

A dargli una mano nelle indagini il piccolo Gioele, ebreo di origine italiana, colui che ha trovato il medico morto e che ha tratteggiato, in disegno, la scena del delitto.

Gioele è una delle cavie di Mengele e tra lui e Fischer nascerà un rapporto di affetto che arricchirà entrambi, nonostante le aspettative future e il finale potrebbero non essere delle migliori.

Forse in tutto quell’orrore potrà fiorire qualcosa di insperato o forse niente avrà salvezza e tutto proseguirà così come è iniziato.

“Di fianco, vide sporgere gli occhialini rotti e una lametta per rasare la barba. In quel momento, capì dove tutto era iniziato: nelle cose piccole e comuni, nella banalità delle azioni quotidiane, nell’inconsapevolezza del pericolo. “

“Il bambino che disegnava le ombre” (Rizzoli, 2021) è il bellissimo giallo della scrittrice italiana, di origini lucane ma residente a Berlino, Oriana Ramunno.

Un romanzo che tiene il lettore attaccato alle pagine dalla prima all’ultima, tra la voglia di voler scoprire insieme a Fischer chi sia l’assassino e le immagini di luoghi di morte nei quali gli atti violenti e disumani non mancano mai.

Oriana Ramunno
Tra storia e fiction ci ritroviamo a riflettere su fatti accaduti in un periodo da sempre molto discusso e la bellezza di questo libro sta anche nell’intelligenza di non cadere mai neipregiudizi e nell’aver creato personaggi realistici perfetti per il contesto descritto. 

Ed entriamo nella psiche di chi lavora nei campi facendoci intuire che per nessuno era semplice stare lì, neppure per gli stessi tedeschi, andando così oltre i classici pregiudizi legati a questo periodo storico. 

Nelle storie dei vari soggetti non è difficile rintracciare la banalità del male di Hannah Arendt e l’olocausto come prodotto della modernità descritto e analizzato da Zygmunt Bauman.

“Hugo annuì. Conosceva i rischi dell’esporsi troppo e male. Per questo stava zitto da anni. Per questo appuntava con cura sul cappotto la spilla rossa con la svastica. In tanti, come lui, tacevano perché consapevoli del pericolo.”

Auschwitz e Birkenau poi sono divenuti luoghi simbolo e le descrizioni della Ramunno sono così realiste e dettagliate da avere l’impressione di trovarsi lì, ancora più per chi, come me, qui luoghi li ha visitati di persona.  

Un vero e proprio inferno nel quale le situazioni crude, alcune a prova di stomaci forti, non vengono risparmiate.

“Odiò Auschwitz. Quel luogo lo avrebbe rovinato per sempre, lo avrebbe risucchiato e stritolato, se non fosse fuggito il prima possibile lasciandosi tutto alle spalle.”

“Il bambino che disegnava le ombre” è davvero bello, coinvolgente, triste e disperato ma al contempo ricco di speranza, quella scaturisce dalle cose più piccole, di suspence (la prospettiva di un film mi ha solleticato più volte durante la lettura), e commuove profondamente, grazie a Fischer, così risoluto e fragile, e soprattutto a Gioele, ancora piccolo ma già così adulto, consapevole del mondo che lo circonda e con una profonda necessità di umanità.

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