Il consolatore |
“La mia salvezza al liceo dello Hallingdal fu però uno stimolante professore di norvegese. Si chiamava Harald Indreeide e veniva da Sunnmøre. Non esagero se dico che fu lui a rendermi quello che sono oggi. Risvegliò il mio interesse per la lingua e la storia della lingua e soprattutto per la cultura norrena, con la letteratura delle saghe e il patrimonio dei vecchi miti, e anche la spilla del nostro costume nazionale. Anche se qui continuiamo a commettere un sanguinoso torto nei confronti degli islandesi. La letteratura norrena non è l’antica letteratura norvegese. È islandese.”
Era il 1994 quando in
Italia apparve “Il mondo di Sofia” (Longanesi) del norvegese Jostein Gaarder.
In Norvegia venne pubblicato tre anni prima e il successo fu immediato. Il
romanzo che raccontava in parole semplici la storia della filosofia non poteva
che conquistare il pubblico composto da lettori curiosi.
Una leggerezza che per
la prima volta veniva adoperata per narrare argomenti che così leggeri non
erano. Tutti da quel momento hanno potuto approcciarsi alla filosofia e io mi
ritrovai ad adoperare “Il mondo di Sofia” come affiancamento a ciò che in quel
periodo studiavo al classico in filosofia.
Negli anni ci sono stati
altri libri, tutti ben accolti dalla critica, da “Il viaggio di Elisabet”
(Longanesi, 1997) a “C’è nessuno?” (Salani, 1996), passando per “La ragazza
delle arance” (Longanesi, 2004).
E dopo alcuni anni eccolo di nuovo nelle
librerie italiane con “Il consolatore” (Longanesi, ottobre 2016) e, incuriosita
dalla trama, non potevo non leggerlo!
Devo dire che l’ho
divorato ma al tempo stesso ho trovato momenti per soffermarmi e riflettere tra
un passaggio e l’altro.
“Il consolatore” racconta
di Jakop Jacobsen, ex ricercatore dell’università di Oslo, studioso appassionato
di linguistica e ora professore, che ha come passatempo quello di andare ai
funerali di persone sconosciute in giro per la Norvegia e qualcosa anche in
Svezia. Naturalmente prima di presentarsi a questi si prepara leggendo
eventuali necrologi e facendo una ricerca per non rimanere impreparato in caso
di domande da parte dei parenti del defunto. Jakop è anche stato sposato ma a
mettere a prova il loro matrimonio è stata l’amicizia di lui con Pelle, un tipo
molto particolare con il quale condivide la passione per la storia delle lingue
e con il quale ama consultarsi di frequente. E poi un giorno incontra Agnes,
tutto cambia nuovamente e comincia a scrivere per lei una lunga lettera
rivelatrice.
Il nuovo romanzo di
Gaarder è ancora una volta tutto da scoprire. Jakop è sì uno studioso, un
erudito, ma c’è molto altro sotto, qualcosa di imprevedibile e sorprendente.
Jostein Gaarder |
“Il consolatore” è la
storia di un uomo che fatica ad interagire con gli altri, le convenzioni gli
stanno strette, che sia crea una vita tutta sua che in pochi sono in grado di
comprendere ma dentro la quale riesce ad essere realmente se stesso.
E poi c’è quella passione
viscerale per le lingue, ogni occasione è buona per scoprire l’etimologia di
una parola e risalire così alle originarie. Si parla così di norreno, di leggi
fonetiche, di lingue germaniche e lingue indoeuropee.
E non mancano numerosi
riferimenti all'affascinante poema dell’Edda con tutte le influenze
linguistiche rintracciabili in esso.
“Il consolatore” è la
storia di una solitudine e delle sue conseguenze, del rapporto tra
consapevolezza e genialità. Qual è perciò la differenza tra quella che
classifichiamo come sanità di mente e la cosiddetta follia?
E quanto influisce la
morte, il pensiero di essa? Si tratta forse di una sensazione di agghiacciante
paura o un avvenimento al quale partecipare?
Insomma un altro
bellissimo romanzo di Gaarder del quale godere pagina dopo pagina, sul quale
riflettere e nel quale il lettore si troverà anche a ridere, grazie a quel tono
ironico, quasi sarcastico, che caratterizza gran parte degli scrittori
scandinavi, forse proprio in quanto aspetto della quotidianità.
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