lunedì 16 giugno 2025

“Erin. The Beast Player” di di Nahoko Uehashi: dal Giappone un fantasy che incontra folclore e manga

Erin. The Beast Player, Nahoko Uehashi

“Quel pensiero tornò ad affacciarsi alla sua memoria un giorno alle porte dell’estate mentre, appoggiata al recinto del pascolo, osservava le ōjū. A quel punto, Erin aveva capito cosa non le quadrava nelle bestie reali del rifugio: il loro manto era opaco. Il pelo delle ōjū selvatiche brillava di una luce splendente quando volavano contro il sole del mattino: uno splendore stupefacente, che mancava completamente alle bestie in cattività.”

Si può colmare la distanza che separa gli esseri umani dagli animali? È l’amore a unire tutte le forme di vita, o la paura?

Quando si parla di letteratura giapponese non è mai semplice individuare chi si dedica al genere fantasy. Spesso lo si accosta, per parte della sua produzione letteraria, a Banana Yoshimoto, ma il suo è più un connubio tra onirico e trascendentale.

Nahoko Uehashi, invece, classe 1962, scrittrice e antropologia, è diventata famosa proprio per i suoi romanzi e manga fantasy per ragazzi, tra i quali "Erin. The Beast Player" (Fazi Editore, 2025, traduzione di Roberta Lo Cascio) che ha riscosso notevole successo in patria.

Erin vive insieme alla madre Soyon nel villaggio dei custodi del granducato dell’Aruhan. Quest’ultima ha l’importante responsabilità di prendersi cura dei temibili serpenti d’acqua dell’esercito del granduca, i tōda. Accade però che alcuni esemplari muoiono improvvisamente e Soyon viene condannata a morte per non essersene occupata come avrebbe dovuto. Qualcosa non torna nella morte di quegli animali ma non c’è altro da fare, Erin deve scappare e grazie all’ultimo coraggioso gesto della madre riesce a mettersi in salvo.

Approdata sulla remota costa di un lago nel regno di Ryoza, Erin viene accolta da un vecchio apicoltore che le insegna tutto sulle api e sulle ōjū selvatiche, gigantesche e in apparenza pericolosissime creature alate. Erin è una mezzo sangue ma ha un dono e sarà il primo essere umano a creare, grazie anche alle note di un’arpa, un legame speciale con un cucciolo di ōjū.

Il suo rapporto con questi esseri viventi è unico ma tutto ciò la coinvolge in complotti politici che mettono in pericolo lei, chi le sta intorno e le amate creature alate. Dovrà combattere e farsi valere o tutto ciò che ha costruito nella sua giovane vita verrà distrutto.

Nahoko Uehashi
“Erin. The Beast Player”, dalla copertina davvero bella, è una saga fantasy coinvolgente, che si fonde con il romanzo di formazione, il cui centro è il rapporto tra uomo e animali, la volontà da una parte di lasciare libere le creature che sempre lo sono state e il desiderio umano, dall’altra, di domare tutto ciò che ancora non lo è.

Quasi 450 pagine di scoperta di un mondo fantastico con tanti tratti a noi, purtroppo, noti: dal maltrattamento degli animali al razzismo nei confronti di etnie differenti o di persone dalle origini miste.

“Avevano sempre fatto così da che Erin ne aveva memoria, e fino a quel momento non le era sembrata una cosa degna di nota. Ma quel giorno, immersa nella vasca tiepida delle terme deserte, non poté fare a meno di chiedersi come mai la madre avesse sempre scelto di fare il bagno quando non c’era più nessuno in giro. Era come se loro due fossero in qualche modo separate dagli altri abitanti del villaggio.”

Se siete amanti delle saghe fantasy, del Giappone, del suo aspetto folcloristico, degli animali, delle storie che emozionano, questo è il libro che fa per voi!

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giovedì 12 giugno 2025

“La vita contro” di Rita Ragonese e l’amore, perché nessuno si salva da solo

La vita contro, Rita Ragonese

“Umberto se l’è chiesto più volte, in effetti, che cosa li lega, loro due. Perché di legame si tratta, anche se sembrano condividere solo il freddo della macelleria. Qualcosa scorre, tra l’essere di uno e l’essere dell’altro, come proveniente da lontano, come da un nonno in comune ormai morto, mai conosciuto.”

Umberto e Angela non avrebbero mai immaginato prima di potersi incontrare. Lui sta per andare in pensione, è un alcolista, è cresciuto a CEP, un quartiere popolare affacciato sulla laguna di Venezia.

Lei ha da poco superato i venti anni, è appena uscita dal carcere della Giudecca, proveniente da una rispettata famiglia ottusamente cattolica, la cui infanzia è stata scandita dalle ossessioni di un padre bigotto.

Umberto e Angela si incontrano in un supermercato di Mestre dove lui è un burbero e apprezzato macellaio e lei, ospite di una comunità con la speranza di ottenere l’affido di suo figlio Martin, è una stagista proprio in quel reparto.

Lui è stato abbandonato dalla moglie e dal figlio dopo una terribile tragedia accaduta vent’anni prima che non ha mai smesso di tormentarlo; lei ha creduto a Florian, il giovane padre di suo figlio, che l’ha coinvolta in modo attivo e subdolo in una serie di attività criminali.

“Che deboli le persone, a volte basta niente per piegarle. E poi ancora niente per raddrizzarle.”

Come era prevedibile inizialmente Umberto e Angela si scontrano ma sono più vicini di quanto pensano, con due passati diversi all’apparenza ma non nella sostanza, e si ritrovano a proteggersi a vicenda, a scoprirsi con tenerezza e con quella comprensione che da tempo mancava ad entrambi.

Con un finale inaspettato ma intimamente toccante e importante.

“Sale in gola un fremito leggero. Una dolcezza, un senso di pietà. Può anche provare ad ascoltarli, questi piccoli sussulti che increspano il mare di stanchezza in cui galleggia. Tanto, da perdere non c’è più niente. L’assenza è una forma di vita che non può durare.”

Quella che ci regala Rita Ragonese con “La vita contro” (Fazi Editore, 2024) è una favola per adulti in cui un uomo e una donna tentano di ritrovate la propria dignità, il primo in silenzio, senza disturbare, pensa di averlo fatto fin troppo nella sua vita; la seconda con veemenza, trascinata dalla voglia di avere tutto e subito ma senza credere abbastanza in se stessa.

Rita Ragonese
Un romanzo che tocca nel profondo, due personaggi che si fanno sentire e ricordare oltre la lettura, un'ambientazione differente che ci permette di conoscere una realtà poco nota dei dintorni di Venezia e Mestre. 

“Lasciare là Martin e andarsene, che follia. Angela però ci pensa, a come sarebbe: andare via da sola, finalmente liberata da quel fardello che è la maternità.”

Un’immagine di maternità, tra le tante, che esprimono la non meccanicità di tale esperienza.

Una storia difficile che si riempie di speranza e amore, la consapevolezza che nessuno si salva da solo perché siamo esseri sociali e nulla vi è di più importante del supporto reciproco, se sincero, desiderato e voluto.

“Lo amava di amore filiale, perché alla fine qualcuno bisognerà pure amare nella vita. Che se non ami qualcuno non potrai mai capire quando odi qualcun altro.”

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martedì 10 giugno 2025

“Vita nostra. Tentativi ed errori” di Marina e Sergej Djačenko: il capitolo conclusivo della magica duologia

Vita nostra. Tentativi ed erroriMarina e Sergej Djačenko

“Saška respirava con affanno dalla bocca. Non riusciva ad afferrare nessun livello semantico, mentre lo schema tracciato in blu sulla lavagna bianca si snodava, si protraeva, si disponeva nel tempo e nello spazio. L’intreccio dei simboli creava un buco nella realtà che apriva un varco nel mondo del caos, e da quel varco – da quella frattura – spirava un freddo atroce. Proprio nell’istante in cui Saška desiderò allontanarsi, lo schema, come una creatura vivente, percepì la sua presenza. Irruppe nella sua testa come una piovra metallica, ficcandole i tentacoli negli occhi e nelle orecchie, e la sensazione fu talmente netta, talmente fisica, che Saška avrebbe voluto urlare.”

Saška ha superato i tre anni all’Istituto di Tecniche speciali di Torpa, ha affrontato l’esame finale per riconoscersi parte del Grande Discorso, scoprendo di essere una Parola d’ordine.

Il suo ruolo è importante come le era stato predetto e la potenza di questo la potrebbe condurre al sovvertimento dell’ordine delle cose. La giovane ragazza però è stanca e nonostante la voglia di lavorare duramente non sia mai scemata si rende conto di non avere le forze necessarie. Farit, che sa sempre esser convincente, trova il modo per farla tornare a scuola per correggere i propri errori e provare a riecheggiare come parte del Discorso.

Qui ritrova i suoi compagni, scopre accaduti che fino a quel momento ignorava e soprattutto capisce che grazie e a causa dei suoi poteri non può più permettersi di fallire, il prezzo da pagare sarebbe peggiore delle morte e dovrà scegliere se lasciarsi andare o farsi valere e andare fino in fondo, ricordando che nulla può fermare l’amore da lei tanto cercato.

“Vita nostra. Tentativi ed errori” (Fazi Editore, 2024, traduzione di Silvia Carli 2024) è il seguito, e la conclusione, di “Vita nostra” dei coniugi Marina e Sergej Djačenko, originari di Kiev e attualmente residenti in California.

Siamo tornati a Torpa, paesino affascinante ed inquietante al tempo stesso, nessuno pare sapere cosa accado dentro le mura di quella scuola ma noi sì e vogliamo saperne ancora di più.

“Il centro storico di Torpa, per quanto strano, era accogliente e pittoresco. I ciottoli brillavano sotto la luce dei lampioni, le stradine serpeggiavano tortuose e i muri in mattoni ospitavano oscure nicchie misteriose.”

Saška è cresciuta ma ancora non pienamente consapevole del suo potere vaga alla ricerca di qualcosa che forse è amore, forse è solo rivalsa per tutto ciò che ha subito per arrivare fino a lì.

Ancora una volta ci troviamo avvolti da un’aura magica, un mix di avventura e incanto, fantascienza e filosofia; gli scenari sono davvero particolari e la storia è di quelle che fanno pensare e ripensare alla ricerca di un senso logico che in un certo momento ci rendiamo conto non essere fondamentale.

“Le affiorò un sorriso sardonico: cos’era giusto fare, chiarirsi con lui? La persona che aveva dentro imbrogliò la sua volontà da verbo, come una farfalla in un barattolo che finge di essere morta, in attesa che il tappo si sollevi per librarsi verso la libertà con un ultimo sforzo.”

Marina e Sergej Djačenko
Morti e rinascite sono sempre protagoniste ma Saška, e noi con lei, vorrebbe solamente riecheggiare e risuonare. Spesso tutto ciò che accade non ha senso ma affascina ancora di più proprio per questa ragione. 

Saška scopre anche l’amore, forse per la prima volta, e si rende conto di quanto questo possa farla sentire fragile e inconsistente, un po’ come Perelà che, nel romanzo futurista di Palazzeschi, si trasforma in nuvola di fumo dopo una vita complicata.

“Saška si era fermata sulla soglia del salotto. Si sentì a disagio: all’improvviso ebbe paura che il tempo smettesse di nuovo di essere una successione di secondi ma diventasse un odore o un sapore, e temette di perdere i confini del proprio corpo, di sbriciolarsi in polvere o espandersi in nuvole di fumo.”

Definirlo fantasy sarebbe riduttivo, racchiuderlo in un genere vero e proprio non sarebbe corretto, ma vi è tutto ciò che cerchiamo da un romanzo che sia coinvolgente, ricco di suspence, talvolta commovente e senza dubbio indimenticabile.

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mercoledì 4 giugno 2025

“Mie magnifiche maestre” di Fabio Genovesi: dai sogni all’autobiografia restando sempre bambini

Mie magnifiche maestre, Fabio Genovesi

“Il passare del tempo, così meccanico e regolare, è il fatto più ovvio del mondo, ma è assurdo che il tempo passi anche per noi. Come il panorama mentre viaggi, il tempo mentre vivi ti scorre intorno e magari addosso, ti solca la pelle, la consuma e ci disegna chiazze e grinze, filtra nei muscoli e li sgonfia, cola nel sangue e lo riempie di magagne. Ma nel fondo più profondo di te, dove viaggia la tua anima, il tempo non arriva. Là dentro niente passa né cambia, restiamo eterni bambini su un’astronave che vaga nello spazio. Dai finestrini sempre più appannati osserviamo un universo confuso e confusi siamo noi, increduli, spersi. Però bambini.”

Nelle mie recensioni inserisco sempre una serie di citazioni dal romanzo ma se questa volta avessi dovuto inserire ogni frase che mi ha colpito avrei dovuto ricopiare l’intero libro o quasi.

Mi accade sempre con i libri di Fabio Genovesi, ma stavolta ancora di più perché ho amato tutto ciò che ha scritto, a partire dal primo, “Esche vive”, ma questa volta ci ha messo tutto se stesso e mi ha toccato nel profondo per alcune affinità con la sua storia, in particolare la questione dei sogni, e per la semplice autenticità di ogni parola.

“Le risposte vere e importanti non sono cose che si dicono, sono cose che si fanno.”

Le donne di Fabio sono e sono state tante e tutto inizia con loro che cercano di mandargli messaggi apparendo nei sogni di altre persone e poi nei suoi: Isolina ha salvato il suo matrimonio la notte in cui ha piantato una falce nel fianco di suo marito; Benedetta era la più bella della spiaggia, ma piuttosto che diventare Miss Cuore di Panna ha preferito darsi alle droghe pesanti; con Gilda i funerali diventavano feste di compleanno; la piccola Azzurra a scuola aveva il Sostegno, ma era lei a non sostenere la banalità degli altri. Poi Irene, la migliore amica dei bambini piccoli e dei mostri giganti. E Violetta, troppo impetuosa per il suo fisico massiccio, che trasformava ogni abbraccio in una frattura. 

“Povera cicala, pensavo da bambino. Invece povere formiche, poveri noi. Passiamo la vita a testa bassa per raccattare le briciole e non possiamo saperlo, ma quel canto è antico e immenso, parte dal profondo della terra e sale a carezzare il cielo.”

Anime semplici ma grandi che, ormai non più appartenenti a questa vita, hanno lasciato qualcosa di importante, non per aver compiuto chissà quali prodigi ma per essere state loro stesse ed essere riuscite a trasmettere tutto questo a Fabio che ne ha fatto tesoro e non le ha mai dimenticate.

“Due cose conosco, che sono libere davvero. I sogni e le rondini nelle sere d’aprile.”

Ognuna di esse ha rappresentato una scoperta, un esempio, un’occasione per imparare, pensare, crescere e sviluppare quella sensibilità che lo hanno portato ad essere l’uomo che è oggi.

Un uomo che non ha mai dimenticato di essere bambino perché cosa c’è di più bello e spontaneo dei bambini che guardano con occhi meravigliati ogni cosa? La vita non è semplice e Fabio ha trovato il modo per renderla meno pesante, perfino alla soglia dei cinquant’anni, il cui pensiero lo ha portato a fare una sorta di bilancio, molto reale e forte, del passato e del presente.

“Così è la vita, è un canto che sbaraglia il tempo, scalda quel che è stato, infiamma quel che c’è, accade quel che sarà. Mescolando ricordi e sogni, memorie e desideri, in un unico ballo che ci porta via con sé.”

Fabio Genovesi
“Mie magnifiche maestre” (Mondadori, 2025) è questo e tanto altro, è l’avventura della vita, è il dolce ricordo di quelle persone che non ci sono più ma alle quali di tanto in tanto pensiamo con nostalgia, sono gli anni che passano troppo velocemente e con incredulità, sono le famiglie che ci creiamo nel corso della vita, i silenzi nei momenti difficili e in quelli felici, è il tentativo di resistere alle abitudini senza smettere mai di emozionarsi.

“Ma il guaio è proprio questo, che alla fine ti abitui a tutto, così il bello smette di emozionarti e scompare, il brutto smette di offenderti e ti allaga la vita.”

Un libro che ci riporta la voce unica di Fabio Genovesi con storie, la sua e delle persone che lo hanno accompagnato fino ad oggi, che restano nel cuore, fanno ridere (mi sono innamorata della cugina che ne sa sempre una più del diavolo) e riflettere e ci ricordano che morte e vita sono più vicine di quanto immaginiamo. 

“Perché anche se non sapevo dove stavo andando, lo sapevo che venivo qui. Come sempre. Il mare è un padre, è una madre, è la cosa più vicina a Dio su cui posso appoggiare gli occhi, allora sono venuto a salutarlo, ad assicurarmi che sia ancora qui, a fargli vedere che ci sono anch’io. Forse è per lo stesso motivo che le donne di casa mia mi mandano i loro messaggi, vogliono salutarmi e dirmi di dormire, ma soprattutto farmi sapere che sono ancora qui con me.”

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