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Mie magnifiche maestre, Fabio Genovesi |
“Il passare del tempo, così meccanico e regolare, è il fatto più ovvio del mondo, ma è assurdo che il tempo passi anche per noi. Come il panorama mentre viaggi, il tempo mentre vivi ti scorre intorno e magari addosso, ti solca la pelle, la consuma e ci disegna chiazze e grinze, filtra nei muscoli e li sgonfia, cola nel sangue e lo riempie di magagne. Ma nel fondo più profondo di te, dove viaggia la tua anima, il tempo non arriva. Là dentro niente passa né cambia, restiamo eterni bambini su un’astronave che vaga nello spazio. Dai finestrini sempre più appannati osserviamo un universo confuso e confusi siamo noi, increduli, spersi. Però bambini.”
Nelle mie recensioni
inserisco sempre una serie di citazioni dal romanzo ma se questa volta avessi
dovuto inserire ogni frase che mi ha colpito avrei dovuto ricopiare l’intero
libro o quasi.
Mi accade sempre con i
libri di Fabio Genovesi, ma stavolta ancora di più perché ho amato tutto ciò
che ha scritto, a partire dal primo, “Esche vive”, ma questa volta ci ha messo
tutto se stesso e mi ha toccato nel profondo per alcune affinità con la sua
storia, in particolare la questione dei sogni, e per la semplice autenticità di
ogni parola.
“Le risposte vere e importanti non sono cose che si dicono, sono cose che si fanno.”
Le donne di Fabio sono e
sono state tante e tutto inizia con loro che cercano di mandargli messaggi
apparendo nei sogni di altre persone e poi nei suoi: Isolina ha salvato il suo matrimonio la notte in cui ha
piantato una falce nel fianco di suo marito; Benedetta era la più bella della
spiaggia, ma piuttosto che diventare Miss Cuore di Panna ha preferito darsi
alle droghe pesanti; con Gilda i funerali diventavano feste di compleanno; la
piccola Azzurra a scuola aveva il Sostegno, ma era lei a non sostenere la
banalità degli altri. Poi Irene, la migliore amica dei bambini piccoli e dei
mostri giganti. E Violetta, troppo impetuosa per il suo fisico massiccio, che
trasformava ogni abbraccio in una frattura.
“Povera cicala, pensavo
da bambino. Invece povere formiche, poveri noi. Passiamo la vita a testa bassa
per raccattare le briciole e non possiamo saperlo, ma quel canto è antico e
immenso, parte dal profondo della terra e sale a carezzare il cielo.”
Anime semplici ma grandi che, ormai non più appartenenti a questa vita,
hanno lasciato qualcosa di importante, non per aver compiuto chissà quali
prodigi ma per essere state loro stesse ed essere riuscite a trasmettere tutto
questo a Fabio che ne ha fatto tesoro e non le ha mai dimenticate.
“Due cose conosco, che
sono libere davvero. I sogni e le rondini nelle sere d’aprile.”
Ognuna di esse ha rappresentato una scoperta, un esempio, un’occasione
per imparare, pensare, crescere e sviluppare quella sensibilità che lo hanno
portato ad essere l’uomo che è oggi.
Un uomo che non ha mai dimenticato di essere bambino perché cosa c’è di
più bello e spontaneo dei bambini che guardano con occhi meravigliati ogni
cosa? La vita non è semplice e Fabio ha trovato il modo per renderla meno
pesante, perfino alla soglia dei cinquant’anni, il cui pensiero lo ha portato a
fare una sorta di bilancio, molto reale e forte, del passato e del presente.
“Così è la vita, è un
canto che sbaraglia il tempo, scalda quel che è stato, infiamma quel che c’è,
accade quel che sarà. Mescolando ricordi e sogni, memorie e desideri, in un
unico ballo che ci porta via con sé.”
“Mie magnifiche maestre” (Mondadori, 2025) è questo e tanto altro, è
l’avventura della vita, è il dolce ricordo di quelle persone che non ci sono
più ma alle quali di tanto in tanto pensiamo con nostalgia, sono gli anni che
passano troppo velocemente e con incredulità, sono le famiglie che ci creiamo
nel corso della vita, i silenzi nei momenti difficili e in quelli felici, è il
tentativo di resistere alle abitudini senza smettere mai di emozionarsi. Fabio Genovesi
“Ma il guaio è proprio questo, che alla fine ti abitui a tutto, così il bello smette di emozionarti e scompare, il brutto smette di offenderti e ti allaga la vita.”
Un libro che ci riporta la voce unica di Fabio Genovesi con storie, la
sua e delle persone che lo hanno accompagnato fino ad oggi, che restano nel
cuore, fanno ridere (mi sono innamorata della cugina che ne sa sempre una
più del diavolo) e riflettere e ci ricordano che morte e vita sono più
vicine di quanto immaginiamo.
“Perché anche se non
sapevo dove stavo andando, lo sapevo che venivo qui. Come sempre. Il mare è un
padre, è una madre, è la cosa più vicina a Dio su cui posso appoggiare gli
occhi, allora sono venuto a salutarlo, ad assicurarmi che sia ancora qui, a fargli
vedere che ci sono anch’io. Forse è per lo stesso motivo che le donne di casa
mia mi mandano i loro messaggi, vogliono salutarmi e dirmi di dormire, ma
soprattutto farmi sapere che sono ancora qui con me.”
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