mercoledì 4 giugno 2025

“Mie magnifiche maestre” di Fabio Genovesi: dai sogni all’autobiografia restando sempre bambini

Mie magnifiche maestre, Fabio Genovesi

“Il passare del tempo, così meccanico e regolare, è il fatto più ovvio del mondo, ma è assurdo che il tempo passi anche per noi. Come il panorama mentre viaggi, il tempo mentre vivi ti scorre intorno e magari addosso, ti solca la pelle, la consuma e ci disegna chiazze e grinze, filtra nei muscoli e li sgonfia, cola nel sangue e lo riempie di magagne. Ma nel fondo più profondo di te, dove viaggia la tua anima, il tempo non arriva. Là dentro niente passa né cambia, restiamo eterni bambini su un’astronave che vaga nello spazio. Dai finestrini sempre più appannati osserviamo un universo confuso e confusi siamo noi, increduli, spersi. Però bambini.”

Nelle mie recensioni inserisco sempre una serie di citazioni dal romanzo ma se questa volta avessi dovuto inserire ogni frase che mi ha colpito avrei dovuto ricopiare l’intero libro o quasi.

Mi accade sempre con i libri di Fabio Genovesi, ma stavolta ancora di più perché ho amato tutto ciò che ha scritto, a partire dal primo, “Esche vive”, ma questa volta ci ha messo tutto se stesso e mi ha toccato nel profondo per alcune affinità con la sua storia, in particolare la questione dei sogni, e per la semplice autenticità di ogni parola.

“Le risposte vere e importanti non sono cose che si dicono, sono cose che si fanno.”

Le donne di Fabio sono e sono state tante e tutto inizia con loro che cercano di mandargli messaggi apparendo nei sogni di altre persone e poi nei suoi: Isolina ha salvato il suo matrimonio la notte in cui ha piantato una falce nel fianco di suo marito; Benedetta era la più bella della spiaggia, ma piuttosto che diventare Miss Cuore di Panna ha preferito darsi alle droghe pesanti; con Gilda i funerali diventavano feste di compleanno; la piccola Azzurra a scuola aveva il Sostegno, ma era lei a non sostenere la banalità degli altri. Poi Irene, la migliore amica dei bambini piccoli e dei mostri giganti. E Violetta, troppo impetuosa per il suo fisico massiccio, che trasformava ogni abbraccio in una frattura. 

“Povera cicala, pensavo da bambino. Invece povere formiche, poveri noi. Passiamo la vita a testa bassa per raccattare le briciole e non possiamo saperlo, ma quel canto è antico e immenso, parte dal profondo della terra e sale a carezzare il cielo.”

Anime semplici ma grandi che, ormai non più appartenenti a questa vita, hanno lasciato qualcosa di importante, non per aver compiuto chissà quali prodigi ma per essere state loro stesse ed essere riuscite a trasmettere tutto questo a Fabio che ne ha fatto tesoro e non le ha mai dimenticate.

“Due cose conosco, che sono libere davvero. I sogni e le rondini nelle sere d’aprile.”

Ognuna di esse ha rappresentato una scoperta, un esempio, un’occasione per imparare, pensare, crescere e sviluppare quella sensibilità che lo hanno portato ad essere l’uomo che è oggi.

Un uomo che non ha mai dimenticato di essere bambino perché cosa c’è di più bello e spontaneo dei bambini che guardano con occhi meravigliati ogni cosa? La vita non è semplice e Fabio ha trovato il modo per renderla meno pesante, perfino alla soglia dei cinquant’anni, il cui pensiero lo ha portato a fare una sorta di bilancio, molto reale e forte, del passato e del presente.

“Così è la vita, è un canto che sbaraglia il tempo, scalda quel che è stato, infiamma quel che c’è, accade quel che sarà. Mescolando ricordi e sogni, memorie e desideri, in un unico ballo che ci porta via con sé.”

Fabio Genovesi
“Mie magnifiche maestre” (Mondadori, 2025) è questo e tanto altro, è l’avventura della vita, è il dolce ricordo di quelle persone che non ci sono più ma alle quali di tanto in tanto pensiamo con nostalgia, sono gli anni che passano troppo velocemente e con incredulità, sono le famiglie che ci creiamo nel corso della vita, i silenzi nei momenti difficili e in quelli felici, è il tentativo di resistere alle abitudini senza smettere mai di emozionarsi.

“Ma il guaio è proprio questo, che alla fine ti abitui a tutto, così il bello smette di emozionarti e scompare, il brutto smette di offenderti e ti allaga la vita.”

Un libro che ci riporta la voce unica di Fabio Genovesi con storie, la sua e delle persone che lo hanno accompagnato fino ad oggi, che restano nel cuore, fanno ridere (mi sono innamorata della cugina che ne sa sempre una più del diavolo) e riflettere e ci ricordano che morte e vita sono più vicine di quanto immaginiamo. 

“Perché anche se non sapevo dove stavo andando, lo sapevo che venivo qui. Come sempre. Il mare è un padre, è una madre, è la cosa più vicina a Dio su cui posso appoggiare gli occhi, allora sono venuto a salutarlo, ad assicurarmi che sia ancora qui, a fargli vedere che ci sono anch’io. Forse è per lo stesso motivo che le donne di casa mia mi mandano i loro messaggi, vogliono salutarmi e dirmi di dormire, ma soprattutto farmi sapere che sono ancora qui con me.”

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