Gli unici indiani buoni, Stephen Graham Jones
“E a muoversi lì come un’immagine residua, come se fosse rimasta indietro e cercasse di scivolare via senza farsi vedere, è sicuro al novanta per cento che ci sia l’ombra di una persona stagliata contro la parete. Un’ombra sottile, solo per un istante. Una donna con una testa non umana. Troppo pesante, troppo lunga. Quando l’ombra si volta come per imprimerlo nei suoi occhi spalancati, lui alza la mano per ostruirle la vista, per nascondersi, ma è troppo tardi. È troppo tardi da circa dieci anni ormai. Da quando ha premuto quel grilletto.”
Lewis, Gabe, Ricky e Cassidy sono quattro giovani indiani cresciuti insieme in una riserva al confine con il Canada. Il loro legame è forte ma viene spezzato dalla morte di Ricky, coinvolto in una lite tra ubriachi fuori da un bar. O almeno questo è ciò che dice la versione ufficiale.
Il tempo continua però a scorrere per gli altri tre e nonostante non smettano di chiedersi cosa sia accaduto in realtà proseguono le loro vite e tentano di integrarsi in una società differente dalla loro, quella dei bianchi. Poi, un giorno, Lewis vede sfarfallare la luce di un faretto nel soggiorno di casa sua, sale sulla scala per tentare di ripararlo e intravede un’ombra, una donna con una testa non umana.
Chi o cosa è? E cosa vuole da lui? Un orribile presentimento si fa strada nella sua testa: e se avesse a che fare con quella battuta di caccia di tanti anni prima finita male? Ma cosa accadde realmente quella notte? Forse qualcuno o qualcosa li perseguita? E cosa vuole dai quattro amici?
“Gli unici indiani buoni”
(Fazi Editore, maggio 2023, traduzione di Giuseppe Marano) è il penultimo
romanzo, il primo tradotto in Italia, del nativo americano, appartenente alla
tribù dei Piedi Neri, nato in Texas, Stephen Graham Jones. Grandissimo successo
di pubblico e critica in patria, ha vinto, fra gli altri, gli ambiti Shirley
Jackson Award e il Bram Stoker Award.
Un romanzo che ci
catapulta in un incubo, quello di quattro uomini consapevoli di aver fatto
qualcosa di sbagliato nel loro passato, le loro origini e tradizioni parlano
chiaro, prima o poi dovranno pagare per tutto quanto.
Umorismo e scene
strazianti e sanguinolente si alternano ma nello sfondo sempre le tradizioni e
le usanze degli Indiani d’America tra le difficoltà del presente e il tentativo
di allontanarsi da cattive strade. Proprio quest’ultimo aspetto fa de “Gli
unici indiani buoni” un romanzo così particolare e a rendere la storia ancora
più spaventosa sono il razzismo nei confronti degli indiani che ancora abitano nelle
riserve e la dicotomia bianchi-indiani che non può mai essere perdonata né dimenticata.
Stephen Graham Jones |
Impossibile non
intravedere le atmosfere dei romanzi di Louise Endrich (indiana Chippewa) e i
dilemmi dei giovani protagonisti di Reservation Dogs (serie televisiva statunitense
creata da Taika Waititi e Sterlin Harjo); in entrambi le origini indiane sono
fondamentali ma appare complicato ricordare quanto è stato tramandato dagli
anziani e quanto è stato raccontato e rielaborato in maniera non sempre corretta.
Restare legati al passato
o dimenticare tutto per immergersi in una cultura differente, in un territorio
nuovo, nonostante tutto e tutti? La penseranno allo stesso modo i wapiti
co-protagonisti della storia?
“Per lei è stato magico
quel giorno, in classe, aprire una nuova pagina bianca del suo quaderno, il
libro mastro dei giorni nostri. Se lo immaginò in un museo, si figurò perfino
una classe di studenti della prima media che un giorno sarebbero andati in
processione alla teca di vetro, per vedere come facevano gli antichi, ai tempi
in cui i quaderni per gli appunti si trovavano ovunque, in quella manciata
d’anni in cui gli indiani avevano solo riserve, prima di riprendersi tutta
l’America.”
Diverse generazioni si avvicendano,
tutte con i loro vuoti esistenziali, i passati e i presenti nelle riserve (a
rappresentare tutto ciò che rimane degli indiani d’America) e da romanzo horror
si trasforma in formazione, poi in giallo e infine in un’angosciosa rincorsa che
potrebbe non avere mai fine.
“Gli unici indiani buoni”
è un viaggio tra inconscio, illusione, realtà, vendetta e paura, un romanzo
scritto con maestria che ci ricorda la supremazia della natura e le realtà
scomode del nostro presente.
E Stephen King aveva
ragione, assisterete alla più terrificante partita di basket della storia!
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