“Io qui mi sono innamorata della mia bicicletta, della luce di ottobre, del paesaggio lunare a gennaio, del verde, della brutalità e di quella non bellezza accattivante che è difficile descrivere a parole. Tu vorresti da me una descrizione di quello che vedo, ma io posso offrirti solo quello che sento. Credo di essermi sentita finora io stessa uno spazio vuoto. Per la prima volta nella mia vita mi sto sentendo piena. E forse è un uso temporaneo quello che sto facendo di me, anche se il mio cuore riesce solo a pensare in termini definitivi.”
Erano due anni che
attendevo di poter leggere qualcosa di nuovo di Simona Sparaco, una delle
migliori scrittrice dell’attuale panorama letterario italiano. Le sue storie
sono sempre molto reali e forti e non c’è romanzo che non mi abbia
profondamente toccato.
Le mie aspettative erano
quindi piuttosto alte e posso ora dire che non sono state disattese.
“Nel silenzio delle
nostre parole” (DeA Planeta Libri, maggio 2019) nasce da fatti realmente
accaduti. Forse ricorderete l’incredibile incendio del 2017 nel quale la
Grenfell Tower di Londra fu completamente distrutta. Tra i tanti morti anche un
ragazzo ed una ragazza italiani.
Tale evento colpì Simona Sparaco (romana,
classe 1978, autrice, tra gli altri, di “Nessuno sa di noi” e “Equazione di un
amore”, entrambi per Giunti, “Sono cose da grandi”, Einaudi) che ha deciso di
ricreare nel suo romanzo corale le voci di alcune delle potenziali vittime.
La
città protagonista non è la capitale britannica ma la tedesca Berlino, con i
suoi incredibili musei, la storia, la musica ma soprattutto le vite di persone
che lì ci sono nate o che ci sono arrivate per altri motivi. Il plesso nel
quale i protagonisti vivono è un palazzo di quattro piani: Alice è italiana si
trova lì perché sta svolgendo il suo periodo di Erasmus, alla ricerca dell’arte
che ha imparato a conoscere grazie al padre, e si è innamorata del tedesco
Matthias; Bastien è invece il figlio di una signora che soffre del fatto di non
avergli mai raccontato alcuni fatti importanti e lui non trova il coraggio di
rivelare alla madre qualcosa che potrebbe sconvolgerla; Polina era una
talentuosa ballerina classica e ora che ha appena partorito non concepisce il
fatto che il suo corpo sia cambiato così tanto, si sente sola con quel bambino
che considera ancora estraneo; Hulya è una spettatrice esterna, le piace
osservare, riprendere le persone durante la loro quotidianità e pensa spesso a
Polina senza averglielo mai però confessato.
“Nel silenzio delle nostre parole”, poco più
di duecento pagine, è il vincitore del Premio DeA Planeta 2019, una vittoria
meritata per l’intensità della narrazione, per la particolarità e la maestria
nel delineare ogni singolo personaggio e per essere tanto brava nel farci
ascoltare i loro più reconditi pensieri.
Le storie sono tante e
differenti tra loro ma c’è un momento nel quale queste si avvicinano e
intrecciano e Simona Sparaco ci mostra come persone all’apparenza così
differenti tra loro possano invece rivelare affinità inaspettate.
“Hulya, invece, ai sogni non dà credito; le sembrano un’inutile fuga dalla realtà. Ha elaborato un metodo alternativo per negoziare con la vita: la riprende con il suo cellulare, dividendola in piccoli fotogrammi gestibili, poi la rimonta e la corregge, inserendo filtri, effetti e una colonna sonora.”
Vita e morte diventano
una cosa sola ma nonostante tutto è la prima a prevalere, facendo di questo
romanzo un vero e proprio inno alla vita, tra sogni, speranze ed esperienze
condivise che permangono nel tempo.
“Nel silenzio delle
nostre parole” esplicita ciò che troppo spesso, per diverse ragioni, omettiamo,
ripromettendoci di rimediare quando avremo trovato le parole e il momento
giusti, e il tempo passa, talvolta esaurendosi. Ci ricorda l’importanza delle
relazioni, tra genitori e figli, tra amici o semplicemente tra amici di casa e
ci insegna ad andare oltre le apparenze e le prime impressioni.
Se perciò avete voglia di
un libro nel quale perdervi e ritrovarvi, che vi racconti storie importanti,
difficili e felici, e vi faccia commuovere, allora questo è quello giusto.
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